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Le big tech colonizzano i fondali marini: potere e geopolitica legati… da un cavo

Meta, Google, Amazon e Microsoft si contendono il controllo delle infrastrutture digitali globali nei fondali oceanici. Un dominio invisibile ma strategico, tra connettività, sicurezza e nuove inevitabili tensioni.

Quasi tutte le grandi aziende tecnologiche, Meta, Amazon, Google e Microsoft, da qualche anno, hanno deciso di conquistare i fondali marini, investendo cifre notevoli. Si tratta di aree che si trovano sul fondo degli oceani e dei mari con molteplici caratteristiche geomorfologiche. Sono considerati la base degli ecosistemi marini, fornendo l’habitat per un’ampia varietà di organismi. Inoltre sono uno spettacolo fantasmagorico per la varietà dei colori che esso produce con panorami mozzafiato.

Le grandi aziende hanno disseminato questi fondali del 70% di cavi ad alta capacità tecnologica, una sorta di autostrade sottomarine intercontinentali. Sono numeri eclatanti, se si pensa che solo 10 anni fa la percentuale era del 10%. Il rimanente 30% è in mano ad altri colossi techno americani e asiatici, comprendenti digitale, e-commerce e streaming. Un vero e proprio predominio in quanto le infrastrutture della comunicazione sono sotto il controllo totale delle aziende in questione, con la capacità di utilizzare questa “potenza di fuoco” per i più svariati motivi geopolitici.

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Ormai le infrastrutture della comunicazione sono sotto il controllo totale delle aziende tecnologiche. Con quali rischi?

Global Market Insights, una società di ricerche di mercato e consulenza gestionale, ha diffuso dei dati secondo cui il mercato dei cavi sottomarini, a livello mondiale, ha raggiunto nel 2024 i 15 miliardi di dollari. Le stime parlano di una crescita annua del 10% entro il 2034.

La notizia più eclatante, però è il progetto “Waterworth” da parte di Meta, di costruire un cavo di oltre 50mila km, ossia più lungo della circonferenza della Terra, praticamente il giro dei 5 continenti in poco tempo. Cosa significa empiricamente? Che rafforzerà il potere economico degli USA e aumenterà il traffico di dati tra tutti i continenti. In Europa la maggiore attività è nel Mediterraneo, con l’Italia che sembra all’avanguardia, strano a dirsi. Infatti, grazie a Sparkle, azienda che gestisce una rete proprietaria in fibra ottica che si estende per oltre 600 mila chilometri, un asset strategico e coperto dal golden power.

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Secondo l’Itu, l’agenzia dell’ONU per le telecomunicazioni, si sono verificati in media 150-200 danni segnalati all’anno su scala mondiale. Uno, clamoroso, c’è stato di recente in Spagna e Portogallo.

Quest’ultimo è uno strumento normativo che permette al Governo di un Paese sovrano di bloccare o apporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie, che ricadano nell’interesse nazionale (settori strategici). I cavi sottomarini hanno un ruolo fondamentale per la connettività, la difesa e l’economia europea. C’è da segnalare che secondo l’Itu, l’agenzia dell’ONU per le telecomunicazioni, si sono verificati in media 150-200 danni segnalati all’anno su scala mondiale, comprendendo anche le azioni di “sabotaggio” con gravi ripercussioni per la funzionalità dei servizi.

Le minacce crescenti corrono, dunque, via cavo, soprattutto in un’area geografica come l’Europa che fa da ponte con l’Oriente e con le tensioni geopolitiche che non riescono a placarsi, la sicurezza assume un aspetto molto rilevante. E’ l’estrema subalternità alla tecnologia che ci rende simili al pulviscolo atmosferico trascinato via dal vento. Basta un blackout elettrico come quello del 28 aprile che in pochi istanti ha lasciato al buio Spagna, Portogallo e parte della Francia, per creare panico e disagi. Meno male che essa, la tecnologia, è considerata onnipotente!

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