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La piazza torna a vivere: in Europa cresce la protesta (ma la repressione aumenta)

Il nuovo rapporto di Amnesty International denuncia ostacoli e violenze contro il diritto di protesta in 21 Paesi europei. E in Italia la piazza si mobilita su temi concreti: dal lavoro alla guerra.

Lo scorso mese di aprile, Amnesty International ha presentato il rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 Stati europei”, malgrado sia vigente, nei fatti esso è poco salvaguardato nei 21 Paesi europei dove è presente Amnesty International. Come è noto, si tratta un’organizzazione non governativa sovranazionale impegnata nella difesa dei diritti umani. Il suo scopo è di promuovere, in maniera indipendente e imparziale, il rispetto dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’ONU nel 1948.

In molti Stati, sulla carta democratici, il dissenso viene criminalizzato in maniera molto dura, basta guardare come si comportano le polizie nei confronti di manifestazioni pacifiche. Ma le proteste stanno cambiando forma organizzativa. Si opta per piccoli gruppi e temi particolari. Si utilizzano strade, villaggi, marce e gruppi orizzontali. Questi ultimi si stanno espandendo a macchia d’olio perché rappresentano un insieme di individui legati da una relazione di pari livello, senza una gerarchia o un capo designato. 

Le recenti proteste degli agricoltori hanno riempito le strade e le piazze: una forma di dissenso civile contro le politiche europee del settore

Non esiste un leader che esercita autorità, ma piuttosto una collaborazione basata su un accordo o un’intesa reciproca. Forse è proprio l’estemporaneità della forma organizzativa che sta scompigliando i piani dei controllori dell’ordine pubblico.

Il “Centro Studi sui Movimenti Sociali” (Cosmos) dell’Università degli Studi di Firenze, effettua studi sui movimenti sociali come parte di una più ampia politica conflittuale e promuove analisi empiriche basate sulla teoria, su forme, dimensioni, cause e impatti dei movimenti sociali, sia nelle democrazie consolidate che nei regimi autoritari.

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Il dissenso viene criminalizzato in maniera molto dura, basta guardare come si comportano le polizie nei confronti di manifestazioni pacifiche.

Particolare attenzione è rivolta ai movimenti sociali come promotori dei processi di democratizzazione. Dalle sue analisi è emerso che in Europa hanno una grande capacità di adattamento. Ovunque si protesti, la spinta al dissenso è dovuta alla percezione di un’insoddisfazione allargata, effetto della debolezza dei partiti politici, che rende i movimenti politici l’unica forma di protesta possibile. Solo per citare alcuni esempi, basti ricordare le proteste in Serbia contro la corruzione del governo presieduto da Aleksandar Vucic o a quelle scaturite in Grecia dopo la morte di 57 persone in uno scontro ferroviario avvenuto il 28 febbraio 2023, di cui i politici sono stati ritenuti i principali responsabili per le infrastrutture troppo obsolete. A conferma che l’insofferenza e l’insoddisfazione verso la classe politica sono ormai radicate nell’animo di chi protesta.

A differenza degli altri Paesi Europei, le proteste in Italia si sono catalizzate su temi più specifici che generali. Ad esempio, lo sciopero, nel marzo scorso, dei lavoratori di Mondo Convenienza, azienda di mobili e complementi d’arredo, nel comune di Navacchio in provincia di Pisa, per i carichi di lavoro eccessivi e carenza di sicurezza del marzo scorso. Di casi come questi è ricca la cronaca, così come sono numerosi quelli inerenti tematiche quali la guerra, i femminicidi o altro. Infine, il conflitto rappresenta il sale della democrazia e se viene neutralizzato vietando le proteste, vuol dire che democrazia non è.

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