Stefano Cucchi

Caso Cucchi: Procura di Roma chiede condanne per depistaggi e falso ideologico

Tre carabinieri alla sbarra: rischiano pene fino a 4 anni e 2 mesi per aver ostacolato le indagini sulla morte del detenuto.

Roma – La Procura di Roma ha richiesto la condanna di tre carabinieri accusati di aver ostacolato le indagini sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano deceduto il 22 ottobre 2009, una settimana dopo il suo arresto. Durante il processo, il pubblico ministero Giovanni Musarò ha chiesto pene severe per i reati di depistaggio e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, sottolineando la gravità di un’attività illecita protrattasi per oltre un decennio.

False dichiarazioni e documenti alterati

Per il caso Cucchi il pm Musarò ha sollecitato una condanna a 4 anni e 2 mesi per Maurizio Bertolino, all’epoca dei fatti maresciallo della stazione di Tor Sapienza, 3 anni e 6 mesi per Giuseppe Perri, maresciallo, e 4 anni per Prospero Fortunato, allora capitano e comandante della sezione infortunistica e polizia giudiziaria del nucleo Radiomobile di Roma. Fortunato ha scelto il rito abbreviato, che prevede una riduzione di un terzo della pena in caso di condanna. I reati contestati, a seconda delle posizioni, includono depistaggio, per le dichiarazioni rese durante le indagini, e falsità ideologica in atti pubblici, per aver alterato documenti ufficiali legati al caso Cucchi.

Caso Cucchi, un depistaggio lungo 15 anni


Nel corso della requisitoria, davanti al giudice monocratico di Roma, Musarò ha descritto il caso Cucchi un’“attività ossessiva di depistaggio” iniziata nell’ottobre 2009, subito dopo la morte di Cucchi, e proseguita fino al 2018, con strascichi fino al 2021. “Spero che questa sia l’ultima puntata di una saga durata 15 anni”, ha dichiarato il pm, evidenziando come le azioni dei militari abbiano ostacolato la ricerca della verità sul pestaggio subito da Cucchi nella caserma Casilina, che ha portato alla sua morte. Le indagini, riaperte grazie alla testimonianza del carabiniere Francesco Tedesco, hanno già portato alla condanna definitiva di due carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, per omicidio preterintenzionale, con pene di 12 e 13 anni.

Il ministero della Difesa indicato come responsabile civile

All’apertura dell’udienza, gli avvocati di due agenti della Polizia Penitenziaria, costituitisi parti civili, hanno annunciato la revoca della loro partecipazione al processo, suggerendo un possibile accordo extragiudiziale per il risarcimento. Questi agenti, inizialmente coinvolti nel primo processo Cucchi e poi assolti, erano stati danneggiati dai depistaggi, che avevano ritardato l’accertamento della verità. Nel procedimento, il Ministero della Difesa è indicato come responsabile civile, mentre Riccardo Casamassima, testimone chiave che contribuì a svelare il pestaggio, rimane parte civile insieme alla moglie.

Caso Cucchi, dal pestaggio in caserma alla morte


La vicenda di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 per possesso di droga e morto sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini, è uno dei casi di cronaca nera più controversi in Italia. Le indagini hanno rivelato un pestaggio subito in caserma, seguito da una serie di depistaggi per proteggere i vertici dell’Arma. Nel 2022, otto carabinieri, tra cui il generale Alessandro Casarsa, sono stati condannati in primo grado per reati legati ai depistaggi, con pene fino a 5 anni. Tuttavia, in appello, la Procura Generale ha chiesto l’assoluzione per alcuni imputati e la prescrizione per altri, suscitando critiche da parte di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e senatrice, che ha più volte denunciato l’ostruzionismo nella ricerca della giustizia.

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