viaggio notrifobia

Anche non poter viaggiare produce uno stato di ansia: si chiama “notrifobia”

Mentre la rete esalta il viaggio come status symbol, cresce il disagio di chi non può partire. E la paura di restare esclusi da un mondo in movimento.

Non poter viaggiare causa la “notrifobia”. La società attuale può essere paragonata a un vero e proprio pot-pourri, una mescolanza di elementi diversi, spesso eterogenei, che formano un tutto in cui non c’è un ordine o una logica apparente. Ci si trova il tutto e il suo contrario. Non si fa in tempo a prendere atto dell’esistenza di una certa tendenza, ecco che ne appare, subito, un’altra che sconfessa la prima.

La narrazione che corre veloce sul web alla velocità della luce, spesso, esalta la possibilità di viaggiare, producendo una sorta di malessere in chi, per un motivo o per un altro, non se lo può permettere. A scorrere i social pare che la maggior parte delle persone sia in viaggio perenne. Certo la visibilità, l’apparire, comunque e dovunque, sembrano essere due fattori dominanti. E’ tutto uno scorrere di contenuti, foto e video di posti da sogno che fanno morire d’invidia conoscenti o semplici spettatori. A volte, chi posta queste foto, poiché l’animo umano è tendenzialmente subdolo, lo fa con la precisa intenzione di suscitare malanimo in chi guarda lo spettacolo senza potervi partecipare.

Poiché questo malessere si sta diffondendo a macchia d’olio, la tendenza ha cominciato ad essere oggetto di studio della psicologia, la scienza che studia i processi psichici, coscienti e non.  Poiché non ci facciamo mancare nulla, è stata trovata una definizione ad hoc per questa condizione umana, ovvero “notrifobia”. E’ un neologismo che indica la paura di non aver ancora prenotato le vacanze o i viaggi, o di non averne in programma. È una sensazione di ansia e disagio che si manifesta quando si percepisce di essere “fuori dal giro”, mentre gli altri stanno pianificando o vivendo esperienze di viaggio. Si vive stando sempre connessi in quanto non si riesce a farne a meno e, in questo modo, si accentuano tutte le differenze sociali che in passato non erano esposte così pervasivamente.

Ormai si vive stando sempre connessi, anche in viaggio: non si riesce a farne a meno. E nasce la notrifobia

Non si tratta solo del desiderio di viaggiare, ma della paura di non esserci, di essere escluso. Il viaggio è diventato uno degli strumenti per socializzare e non farlo provoca disagio. Il tutto è estremizzato dai social, per cui la mancanza di partecipazione provoca un senso di inadeguatezza. E’ chiaro che, scorrendo i social, pare che tutti siano viaggiatori accaniti e visitino paesaggi mozzafiato e posti sublimi.

La realtà è più prosaica di quanto appare, nel senso che si tratta di un punto di vista limitato di essa. Per non farsi schiacciare, basta praticare un po’ di disconnessione e attività anche banali del quotidiano, come passeggiare, ammirare la natura per il gusto di farlo, senza mostrare ad alcuno dove si è.

Quattro chiacchiere in libertà con un amico ad immaginare mondi lontani: anche questo è un toccasana

La “notrifobia” si manifesta se si “investe” molto nel viaggio, considerandolo come l’unico strumento di socializzazione. In realtà, ce ne sono anche altri. Secondo la psicoterapia, bisogna concentrarsi sul “qui ed ora”, perché la realtà è più sfaccettata di quanto si pensi e offre momenti importanti. Soprattutto, rendersi conto che quella presente sui social è, spesso, apparente. In un certo senso, affinché la vita quotidiana possa suscitare attrazione, bisogna spostare in essa la sensazione di novità e di scoperta che ammanta il viaggio. In una società che ha ritmi forsennati, si sono perse piccole porzioni di vita quotidiana.

La vita è scandita h24 da una serie di sequenze programmate a cui non si riesce a rinunciare. Ed, invece, basta poco per respirare. Quattro chiacchiere in libertà con un amico ad immaginare mondi lontani, una visita alla città in cui si vive, che spesso si conosce poco ed in cui si nascondano, invece, anfratti ricchi di tesori preziosi!  

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