Investimenti da 15 miliardi e 100 mila posti di lavoro: è boom di progetti per i data center, soprattutto al Nord. Ma Legambiente e diversi territori lanciano l’allarme su consumo energetico e suolo.
Roma – In Italia stanno crescendo gli investimenti dei data center, soprattutto nell’area milanese, a Roma e in Puglia che mira a fare da ponte verso i Paesi del Medio Oriente e del Mediterraneo. I data center, com’è noto, sono strutture fisiche centralizzate che ospitano server, sistemi di archiviazione e apparecchiature di rete, per la gestione di applicazioni, servizi e dati. Ovvero del fulcro tecnologico di qualsiasi organizzazione, garantendo il funzionamento h24 delle infrastrutture informatiche. In pratica, sono i luoghi dove vengono elaborati e archiviati i dati, e da dove si distribuiscono e si accede alle risorse. Quindi strutture importanti, decisive nell’era tecnologica.

Secondo l’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, solo nel biennio 2023-2024 sono già stati già investiti 5 miliardi e altri 10 per il biennio 2025-2026. Numeri, sostanzialmente, confermati dall’Italian data center association (Ida), l’associazione italiana dei costruttori e operatori di data center, che riunisce tutti gli attori dell’ecosistema di questo settore in Italia, secondo cui il Belpaese attirerà investimenti di circa 15 miliardi da cui potranno scaturire 100mila posti di lavoro.
Allora “va tutto bene madama la marchesa”, siamo in una botte di ferro? Non proprio, se si guarda oltre le apparenze. Innanzitutto potranno verificarsi proteste contro i data centers, simili a quelle contrarie al 5G, la quinta generazione di rete mobile di nuova generazione, con velocità di connessione più elevate, minore latenza e maggiore capacità di rete rispetto alle generazioni precedenti. L’Italia era all’avanguardia in questo settore ma il cammino è stato frenato dalle ordinanze anti-antenne per effetti ipotetici nocivi sulla salute. Si è creata una situazione ingarbugliata che nemmeno i decreti “semplificazioni” dei vari governi sono riusciti a sbrogliare.

Per la cronaca c’è da registrare che gli effetti sulla salute del 5G non sono mai stati dimostrati scientificamente, ma nemmeno è stata esclusa una sua pericolosità. Quindi per il rispetto del principio di precauzione, è stato meglio evitare. Innanzitutto, i centri eleborazione dati consumano molta energia e acqua e, per le realtà territoriali interessate, si rischia di dissipare risorse e l’occupazione possibile è puramente teorica. Legambiente, una delle più antiche associazioni ambientaliste, già prevede opposizione alla loro costruzione. Sono due gli aspetti allarmanti: polarizzazione delle infrastrutture in particolari aree e l’impatto ambientale, riguardanti il consumo di suolo e la tenuta energetica delle strutture industriali.
Per i fautori, è necessario il riconoscimento dei data center come infrastrutture strategiche da parte dello Stato. In modo da poter avere permessi in poco tempo, tutela contro vincoli urbanistici e una strategia industriale nazionale. Affinché i data center possano andare a pieno regime, serve una rete elettrica nazionale efficiente e una forte collaborazione tra istituzioni e operatori del settore.

A prescindere da come la si pensi, un dato è certo. Ossia, poiché siamo in Italia, si sa come fanno certe cose. Soprattutto quando si parla di sinergia tra pubblico e privato. Finora, quando è stato fiutato l’affare, le iene fameliche che compongono il sottobosco politico-imprenditoriale italiano, hanno affilato i denti per azzannare le parti più grandi della “torta” da spartirsi, lasciando tante cattedrali nel deserto. Di regole da rispettare, nemmeno l’ombra!