Ansia, panico e controllo ossessivo: la connessione costante ha trasformato i rapporti umani e ridefinito il concetto di presenza. La psicologia l’ha già catalogata come dipendenza.
Da quando i device elettronici si sono trasformati in una sorta di estensione dei nostri sensi non si fa altro che stare col capo chino su uno schermo, del pc o dello smartphone, per inviare messaggi dai cui dipende la concezione della vita e dei massimi sistemi. Domande incalzanti, del tipo “Ti ho appena chiamato, perché non rispondi?”, “Dove sei in questo momento”, “Non farmi stare in pensiero, mi raccomando!”.
Il malcapitato di turno non risponde immediatamente perché imbottigliato nel traffico cittadino o è semi intrappolato in metro o su qualche bus urbano, su cui il solo spostarsi un po’ costituisce un’impresa titanica. Oppure non si può rispondere perché si è impegnati con le mani in quel momento o si sta parlando con una persona e il sospendere bruscamente la conversazione non è proprio un comportamento da galateo. Il fatto è che ogni persona, quando è connessa, crede di essere al centro dell’universo per cui tutto deve girare intorno ad essa.

Sembra che ognuno viva senza considerare le variabili che possono capitare tra capo e collo. Finalmente il perseguitato di turno, quando riesce a liberarsi degli impicci quotidiani e inviare una risposta ecco che l’agitazione si placa e la calma sembra regnare serena. Anzi ci si vergogna quasi di aver esercitato una specie di controllo nevrotico. Tanto la prossima volta si innescherà lo stesso meccanismo diabolico con lo stesso disagio finale per essersi preoccupati della banalità del quotidiano. L’aspetto inquietante è che sembra un fatto dato per certo essere connessi, quasi come se la nostra origine come specie vivente fosse essere aggrappati alla rete, senza la quale sprofonderemmo nell’oscurità totale.
Poiché non ci facciamo mancare nulla, il fenomeno non poteva che essere studiato dalla psicologia, sempre pronta a comportarsi da pronto soccorso del sapere e che ha coniato il nome di “nomofobia”. Ossia “No Mobile Phobia”, il timore di essere irraggiungibili, di non poter utilizzare il proprio device e contattare gli altri. Questo stato tormentato può produrre panico, ansia, azioni ossessive che alla fine si ripercuotono sulla vita delle relazioni.

Si tratta di una vera e propria dipendenza, che in quanto tale è definita come un’alterazione del comportamento caratterizzata per la ricerca anomala ed eccessiva di sostanze o di attività che si mantiene nonostante l’evidenza che queste siano dannose. In uno studio pubblicato da YouGov, un istituto di ricerca internazionale con sede a Londra, è emerso che oltre la metà degli utenti di telefonia mobile manifesta stati ansiogeni se il cellulare ha la batteria scarica, è senza credito o non c’è copertura di rete. In questo caso si va completamente fuori di testa.
Questi dati sono stati, sostanzialmente, confermati, da una ricerca dell’Università di Granada, Spagna, in cui si evidenzia che la fascia d’età è quella compresa tra il 18 e 25 anni. Ormai online ci sono pezzi di vita di tante persone per cui il confine con l’offline è talmente labile, da rendere difficile la differenza. Al punto che anche le relazioni umane si sono trasformate. Se ci si distacca dal mondo online sembra di non stare al passo coi tempi, ma il suo uso continuo ed eccessivo sottrae tempo fisico alla coppia e al singolo. Forse stiamo andando verso il superamento della fisicità come l’abbiamo conosciuta finora. Il fatto che i device tecnologici possano essere considerati come delle estensioni dei nostri sensi potrebbe portarci verso rapporti e relazioni immateriali senza l’inutile, a volte, fardello dei corpi. Chissà!