Annarella Bracci ha solamente 12 anni quando svanisce nel nulla. La borgata viene battuta palmo a palmo ma della ragazzina nessuna traccia. Verrà ritrovata morta dentro un pozzo.
Roma – La borgata di Primavalle nel 1950 è una massa disordinata di palazzine senza intonaco e scantinati insalubri. In quella sventurata periferia hanno trovato rifugio gli esuli dei bombardamenti dell’ultima guerra ed ora la vasta area sterrata non è che un eterno limbo miserabile dove le esistenze di chi ci vive sembrano essere rimaste inesorabilmente intrappolate, senza futuro. Quella borgata con la fogna a cielo aperto, infatti, sembra essere rimasta tagliata fuori dalla grande urbanizzazione post bellica. La famiglia Bracci è parte del popolare mosaico di scatole di cemento e terriccio. E’ una famiglia complicata, come molte d’altronde. Annamaria, conosciuta da tutti come Annarella, vive con la madre Marta Fiocchi, dedita al mestiere più antico del mondo, e con un fratello maggiore violento e rabbioso.
Per non seguire la madre nel meretricio, la dodicenne cerca di guadagnarsi il cibo sbrigando qualche faccenda per alcune famiglie più agiate. Sarà proprio durante una di quelle commissioni che Annarella svanirà nel nulla il 18 febbraio del 1950. Nonostante non venga data importanza alla sparizione, per lo meno da subito, attesa l’estrazione sociale delle persone coinvolte, l’intera borgata, scossa dalla situazione, si riversava lungo le fangose viuzze di Primavalle in segno di protesta, riuscendo in fine ad attirare l’attenzione sulla tragica vicenda. Il 3 marzo di quello stesso anno il corpo senza vita della bambina verrà rinvenuto in fondo ad una cisterna d’acqua situata nella campagna circostante. Perché una ragazzina di 12 anni è stata ritrovata a faccia in giù dentro un pozzo profondo 13 metri? Chi l’ha uccisa, e per quale motivo?
La scomparsa
Il 18 febbraio del 1950 è una giornata come tante per Annamaria Bracci. Le solite urla e percosse della madre anticipano le commissioni quotidiane della ragazzina che, quel pomeriggio, esce di casa per comprare olio e carbone per la cena. C’è solo un grande e macabro cambiamento nell’abitudinaria e squallida routine della giovane: Annarella quella fredda sera di febbraio non farà più ritorno a casa. L’inconsapevole pericolo, che al tempo si celava nelle stradelle così ben conosciute da Annarella, sembra essersi crudelmente materializzato, tanto da aver inghiottito la poveretta. Il disinteresse riguardo l’accaduto, manifestato in primis dalla stessa famiglia Bracci, ritarderanno la denuncia del fattaccio e il conseguente inizio delle ricerche.

Nonostante la superficialità con cui gli organi inquirenti conducono inizialmente le indagini, considerando Primavalle un luogo problematico dove non è strano che una ragazzina venga stuprata o sparisca, la rumorosa reazione di disappunto della popolazione della borgata porterà le indagini ad un altro livello. Mosso a compassione persino un nobile facoltoso offrirà 300.000 lire a chiunque fornisca indizi concreti sulla scomparsa di Annarella. Le ricerche iniziano il 23 febbraio 1950 nelle zone intorno alla borgata e termineranno tragicamente la sera del 3 marzo con il rinvenimento del cadavere con il cranio fracassato e senza indumenti intimi. Il modo in cui gli investigatori vengono indirizzati verso le spoglie della giovane Annarella fornirà a questi ultimi un primo spunto d’indagine.
La famiglia Bracci
L’analisi criminologica del delitto suggerisce un omicidio a sfondo sessuale o un delitto d’impulso con successivo occultamento. L’assassino ha agito con una modalità ben precisa: strangolamento, un metodo che spesso indica un desiderio di dominio sulla vittima. Il trasporto del corpo in un luogo diverso dalla scena del crimine suggerisce un tentativo di depistaggio. Secondo le perizie Annarella è ancora agonizzante quando viene gettata nel pozzo con la testa fracassata. L’ubicazione del corpo della giovane viene indicata agli inquirenti dal nonno della vittima che, alcuni giorni prima del rinvenimento della salma, dice di aver sognato la nipote che gli indicava i pozzi nelle campagne che circondavano il quartiere popolare.
L’anziano parente (ammessa la veridicità del suo racconto e non altro) sarà beneficiario dell’offerta in denaro del ricco barone e che il nonno di Annarella spenderà in investimenti immobiliari azzardati. Scavando più a fondo della famiglia Bracci affiora ben presto un ritratto di grave indigenza e abusi. La madre della vittima, probabilmente affetta da esaurimento nervoso, non si è mai ripresa dai bombardamenti che hanno distrutto il mondo borghese a cui apparteneva per relegarla in quella borgata dimenticata da Dio. Il padre è da qualche tempo sparito con i tre figli più piccoli, mentre il fratello maggiore Mariano, menomato ad una gamba, vive ancora a Primavalle, contribuendo alla pesante aura di violenza che aleggia in casa Bracci. È proprio il fratello che, inspiegabilmente, si presenta, pochi giorni prima del ritrovamento delle spoglie della congiunta, alla polizia consegnando le mutande della sorella scomparsa e affermando di averle rinvenute poco distante dal luogo del rinvenimento del corpicino. La famiglia Bracci sta cominciando ad attirare l’attenzione degli inquirenti, quando all’improvviso spunta l’orco.

L’orco biondino
Si dice che i funerali di Annarella Bracci furono una cosa impressionante. Si parla della presenza di centinaia di migliaia di persone. La bara di Annarella, sistemata su una carrozza trainata da 4 cavalli bianchi, sfilava per le strade della Città Eterna fino al Verano, tutto a carico dal Comune di Roma. In prima fila le autorità politiche romane e quelle delle forze dell’ordine, che pure a breve, saranno messe sotto accusa per la loro gestione del caso. Le indagini infatti girano a vuoto, nessuna effettiva prova a carico dei membri della famiglia Bracci, poi la strada sembra improvvisamente spianarsi e spunta la figura dell’orco perfetto: Lionello Egidi detto il “biondino”. Egidi è bracciante, di estrazione sociale umilissima, talmente umile da vivere negli scantinati della famiglia Bracci. A suo carico ci sono diverse denunce da parte di ragazzine dell’età di Annarella, che avrebbero, a loro dire, subito molestie da quell’uomo male in arnese.
Il quadro probatorio a carico di Egidi è pesante, tutti in borgata sanno del suo vizietto di compiere atti osceni su ragazzine e, addirittura, si vocifera di abusi nei confronti delle due sorelle della moglie, che per un certo tempo abitarono sotto lo stesso tetto. Poi c’è un testimone. Qualcuno l’ha visto condividere alcune caldarroste con la vittima proprio nel pomeriggio della scomparsa. Una volta arrestato, gli estenuanti interrogatori porteranno Egidi, dopo aver cercato di negare ogni addebito, il 10 marzo 1950 alle ore 21.45, a confessare di avere ucciso Anna Maria Bracci. Il braccinate dichiara che la sera del 18 febbraio, dopo l’incontro davanti alla caldarrostaia, invitó la bambina a fare una passeggiata. Annarella accettava di buon grado e i due si incamminarono verso la località La Nebbia.

A circa venti metri dal pozzo Egidi invitò Annarella a sedersi con lui su una collinetta erbosa dove l’uomo tentava di sfilarle gli slip. Anna Maria, a quel punto, cominciava a strillare ed Egidi, per farla tacere, la colpiva con un bastone munito di un appuntito chiodo all’estremità. Subito dopo, senza esitazioni, gettava la ragazzina agonizzante dentro il pozzo.
I processi
Il caso sembra essere risolto. Egidi viene formalmente arrestato e condotto a Regina Coeli, ma qui il colpo di scena: l’uomo ritratta quanto detto ai funzionari di polizia, denunciando di essere stato costretto a confessare sotto tortura. Il 23 aprile 1951 Lionello Egidi viene rinviato a giudizio: il processo in Corte d’Assise ha inizio il 30 novembre 1951. Il processo dura più di un anno e nel febbraio del 1952 la Corte d’Assise di Roma assolve Lionello Egidi per insufficienza di prove. In attesa del processo d’appello, Egidi viene nuovamente arrestato per aver tentato di violentare una bambina di dodici anni durante una festa popolare sull’Appia Antica. Per questo reato viene condannato a 3 anni e tre mesi. Tutto avviene quasi in concomitanza con un nuovo colpo di scena riguardo la sentenza del processo d’appello per il decesso di Annarella. La sentenza di secondo grado, ribaltando la prima, riconosce Egidi responsabile della morte della dodicenne e lo condanna a 26 anni e otto mesi.
Non sembra però il momento di scrivere la parola fine sul caso. Egidi ricorre infatti in Cassazione e nel 1961 gli Ermellini assolvono definitivamente il “biondino” di Primavalle. Nello stesso anno l’uomo viene accusato di violenza su un bambino di otto anni e si becca una pena di 8 anni, ridotti in seguito a sei. Il pregiudicato ritorna in galera da dove uscirà solo nel 1967, continuando a professare la sua innocenza riguardo l’assassinio della piccola Annarella.

L’eredità
C’è in verità chi all’innocenza di Egidi crede davvero. Al tempo dell’omicidio infatti, tutta la borgata parlava di relazioni intrecciate dalla madre, Marta Fiocchi, con uomini che abitavano nei paraggi. Fra questi Adamo Moroni, uno spazzino di mezz’età dall’aspetto ripugnante, di cui Marta restò incinta per essere in seguito costretta all’aborto. Annarella, che aveva assistito alla violenta interruzione di gravidanza della madre, oltre a subire un forte trauma, fu chiamata a testimoniare in tribunale a seguito della denuncia del padre Riziero, che accusò la moglie di adulterio.
Marta Fiocchi portò sempre rancore nei confronti della figlia, e continuò giorno dopo giorno a sfogare rabbia e la sua frustrazione sulla piccola Annarella. Violenze verbali e fisiche, forse anche più. Negli anni che seguirono rimasero in molti quelli che pensavano che l’omicidio della ragazzina fosse maturato nel losco ambiente “professionale” della madre ma nessuno, fra quelli che sapevano, volle fare un passo avanti per dare giustizia a quella povera ragazzina. Il caso è rimasto senza colpevole.