Carcere, blitz M5S alla Dozza: “L’istituto bolognese al collasso, Nordio intervenga”

Una delegazione del Movimento in visita nel penitenziario: “Tasso di sovraffollamento che raggiunge il 170% rispetto alla capienza regolamentare”.

Bologna – “Quello che abbiamo trovato durante una recente ispezione a sorpresa al carcere della Dozza di Bologna è inquietante, ma purtroppo non sorprendente: è la fotografia di un sistema penitenziario in ginocchio, abbandonato, lasciato al degrado e all’indifferenza”. Lo riferisce sui social la delegazione del MoVimento 5 Stelle formata dalla deputata Stefania Ascari, dal consigliere regionale Lorenzo Casadei, dall’ex senatrice e coordinatrice provinciale di Bologna Michela Montevecchi, e dall’ex consigliera regionale Silvia Piccinini, che “ha toccato con mano la realtà drammatica della Dozza: una struttura al limite, che versa in condizioni inaccettabili”.

Il carcere “presenta un tasso di sovraffollamento che raggiunge il 170% rispetto alla capienza regolamentare. In questo contesto, la convivenza forzata diventa esplosiva. Le condizioni igienico-sanitarie sono drammatiche: muffa sui materassi, ambienti infestati da zanzare e scarafaggi, spazi angusti e degradati, strutture maltenute. Ma il problema – dicono – non è solo strutturale, è anche, e soprattutto, umano. All’interno della Dozza convivono detenuti comuni, persone con dipendenze da sostanze e soggetti affetti da disturbi psichiatrici, tutti insieme, senza alcuna separazione adeguata. Una promiscuità che alimenta tensioni, favorisce episodi di violenza e peggiora le condizioni di fragilità psichica”.

Le “attività rieducative e lavorative sono praticamente assenti. Le ore di inattività sono infinite. Questo vuoto quotidiano, privo di stimoli e di prospettive, si trasforma in disagio psichico, aggressività, autolesionismo. La sezione femminile, in particolare, risente pesantemente della carenza di servizi: il numero ridotto di detenute – prosegue la nota – amplifica la commistione tra profili differenti e, da oltre quattro mesi, la cucina è fuori uso a causa di un guasto mai riparato. Non solo un disservizio, ma anche un’occasione di lavoro persa per molte donne. L’assistenza sanitaria è insufficiente, spesso assente. A farne le spese sono gli agenti di polizia penitenziaria, in numero gravemente sottodimensionato, costretti a svolgere ruoli che vanno ben oltre le loro competenze: da educatori a mediatori culturali, fino a veri e propri assistenti psichiatrici. Operano sotto stress, in un clima costante di emergenza, con risorse minime e grande spirito di sacrificio. A loro va riconosciuto un impegno straordinario“.

Un altro “dato che non possiamo ignorare: oltre il 53% dei detenuti è straniero. Una realtà che, in assenza di un numero adeguato di mediatori culturali e di progetti mirati, rende impossibile ogni percorso rieducativo. La barriera linguistica isola, – si legge ancora nella nota – aumenta il senso di frustrazione, alimenta i conflitti. Molti detenuti sono anche analfabeti, e in queste condizioni parlare di reinserimento sociale è una beffa. A tutto questo si aggiunge una nuova e preoccupante criticità: la recente apertura della sezione minorile che ha accolto i primi 20 “giovani adulti”. Una decisione messa in atto senza alcuna preparazione adeguata. Una sezione, pur essendo tecnicamente separata dalla struttura per adulti, che è di fatto parte integrante del complesso, vista la stretta prossimità degli ambienti e l’organizzazione interna”.

Il risultato? “Una gestione improvvisata e priva dei requisiti minimi di dignità: i giovani detenuti si trovano senza acqua calda, mentre il personale e gli educatori che dovrebbero assisterli sono senza prese elettriche e senza spazi adatti. Nessuna attività formativa o ricreativa è stata prevista. La cucina non esiste. Si tratta di un’esperienza detentiva che rischia di compromettere ulteriormente il futuro di questi ragazzi, rinforzando esclusione, disagio e rabbia invece di favorire un percorso di recupero. La Dozza non è un’eccezione, ma un simbolo. Le condizioni dei nostri istituti penitenziari devono essere dignitose per chi vi lavora e per chi vi è recluso. Non è una questione di buonismo, è una questione di legalità, giustizia, civiltà”, conclude la delegazione M5S.

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