Carchidi Iacchitè

“Il mio fermo? Un agguato per punirmi delle inchieste sulla Questura. Il video parla da solo”

Gabriele Carchidi, direttore del portale d’informazione cosentino “Iacchitè”, racconta al giornalepopolare.it la sua versione sul controllo di polizia subìto e ripreso in un video diventato virale.

Cosenza – Come promesso, ha denunciato quella che reputa un’aggressione facendo nomi e cognomi degli agenti che lo hanno fermato, scaraventato a terra, schiacciato al suolo e caricato a forza in auto. E non solo ai carabinieri, ma anche sul portale di informazione Iacchitè che Carchi dirige e in cui campeggia un articolo al vetriolo, con tanto di foto, dedicato al capopattuglia, indicato come il responsabile della “spedizione punitiva” ai suoi danni.

“Non mi faccio illusioni, qui a Cosenza c’è il porto delle nebbie – dice il giornalista – Non sono nemmeno andato al pronto soccorso. La denuncia serve soltanto a far acquisire il filmato che mi scagiona e dimostra invece l’operato dei poliziotti. Io non ho mosso un dito, non c’è stata nessuna resistenza, come invece sostenuto dalla Questura. E meno male che qualcuno ha ripreso il tutto, altrimenti chi mi avrebbe creduto?”.

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Il video del controllo di routine che il pomeriggio del 22 marzo scorso a Cosenza si è trasformato in un intervento violento – standard secondo la versione della Questuraè diventato virale sui social e, suo malgrado, ha fatto finire nell’occhio del ciclone il 60enne cronista calabrese direttore del portale, oggetto delle “amorevoli” attenzioni degli agenti. Carchidi dal canto suo non si scompone, abituato com’è alla tenzone. Iacchitè è una presenza costante e puntuta nella realtà cosentina, un portale che non le manda a dire, impegnato a svelare le storture di quello che definisce il “sistema Cosenza“, menando equamente fendenti a politica, magistratura e forze dell’ordine.

Mai ricevuto minacce, inviti più o meno velati a cambiare registro, a edulcorare la narrazione?

Metodi superati – spiega il direttore di Iacchitè -, le pressioni sulla stampa, soprattutto su chi fa inchieste e controinformazione, a Cosenza come nel resto d’Italia, si esercitano attraverso le querele temerarie, tentando di strozzare per via giudiziaria le voci scomode”.

E allora come si spiega il “ruvido” trattamento che le hanno riservato?

“Non è stato un caso, questo è certo – aggiunge il cronista – Faccio quella strada per arrivare in redazione quasi tutti i giorni. E poi a Cosenza mi conoscono tutti, ci lavoro da quarant’anni e per venti sono stato la voce del Cosenza calcio. Anche in Questura, che per altro è a cento metri dal giornale, sanno perfettamente chi sono, ho fatto inchieste anche su di loro”.

In effetti Iacchitè ha più volte puntato il dito sulla Questura, riportando di presunte sparizioni di cocaina dopo i sequestri, come del denaro che sarebbe stato confiscato ai parcheggiatori abusivi. Nonché di ipotizzate cricche e faide interne.

“Quando mi hanno chiesto i documenti mi è sembrato surreale – prosegue Carchidi – per questo mi sono rifiutato di esibirli e ho chiesto conto del motivo. Per tutta risposta mi hanno sbattuto contro la volante. Poi non ho avuto più il tempo di mettere mano al portafogli, tirare fuori la carta d’identità e chiudere la questione. Sono arrivati gli altri agenti e mi sono ritrovato a terra”.

Il video del fermo del giornalista

Il video è eloquente: si vedono tre poliziotti che gli stanno addosso, lo spintonano, lo tirano giù. Il giornalista finisce a terra, un agente gli schiaccia le gambe con un ginocchio, un altro tenta di fare la stessa cosa sulla schiena. Carchidi parla di un “agguato” organizzato a bella posta.

“Sapevano benissimo chi ero – continua il direttore – E infatti in Questura, quando ho chiesto i nomi degli agenti intervenuti, si è fatto avanti il capopattuglia che si è qualificato e mi ha detto “tu sei un diffamatore”, segno evidente che non c’era bisogno di chiedermi i documenti in strada”.

Quindi…

“Il 10 marzo abbiano scritto di due bossoli e un messaggio minaccioso lasciati nell’auto di un’ispettore della Digos – conclude Gabriele Carchidi – adombrando la possibilità di una faida interna. Posso pensare che sia stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.

Pentito di aver reso pubbliche le identità degli agenti, rendendoli un potenziale bersaglio?

“Da quello che ho potuto vedere il bersaglio sono io”.

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