L’IA sta rivoluzionando il mondo del lavoro: creerà nuovi impieghi, ma ne cancellerà milioni. Quali saranno le conseguenze per lavoratori e imprese?
Ormai non si fa che parlare in ogni luogo delle virtù salvifiche dell’Intelligenza Artificiale (IA) e dei suoi benefici sull’occupazione, creando nuovi posti di lavoro. Una sorta di eden terrestre in quanto essa è orientata al benessere dell’individuo e della collettività! Cosa si vuole di più dalla vita? Per la cronaca, per IA, in generale, si intende l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Non sono bastati i danni prodotti a iosa da quella naturale, ora ci si mette pure la tecnologia a formare una coppia devastante!

Nello scorso mese di gennaio è stato diffuso il consueto rapporto annuale del World Economic Forum (WEF), una fondazione mondiale che compie studi politico-economici. Secondo il consesso di esperti, entro il 2030 l’IA produrrà 170 milioni di nuovi posti di lavoro globalmente. Il rovescio della medaglia è che se ne potrebbero perdere 92 milioni. Chi è abituato a far di conto potrebbe esclamare che c’è, comunque, un saldo positivo di 78 milioni di nuovi occupati. Come in ogni rivoluzione economico-sociale che si rispetti, anche l’IA produrrà trasformazioni imponenti sul mercato del lavoro mondiale.
L’unico modo di stare al passo dei tempi è migliorare le capacità tecnico-professionali dei lavoratori che sono a rischio, come si è visto, di essere considerati degli esuberi di difficile collocazione. In pratica se non ci si forma adeguatamente il mercato del lavoro è perfido, non guarda in faccia a nessuno e si rischia l’espulsione da esso, con tutti gli effetti deleteri individuali, familiari e collettivi. Ormai è un processo irreversibile, al punto che, secondo i dati, una impresa su due pensa di licenziare per sostituire i lavoratori con la tecnologia.

In un futuro prossimo parecchie mansioni svolte dagli umani saranno automatizzate. Il numero dei falcidiati dalla furia distruttiva si aggirerebbe intorno ai 92 milioni. Ci troveremo di fronte ad una vera e propria rivoluzione occupazionale. Già adesso stanno scomparendo quelle mansioni semplici, ripetitive e a bassa professionalità sostituite da robot che circolano all’interno delle grandi imprese. Si prevede che anche i compiti amministrativi, la gestione dei dati, operatori di call center subiranno dei forti tagli, sostituiti dalle tecnologie.
Gli impieghi che si spargeranno a macchia d’olio sono, ovviamente, legati alla tecnologia e all’IA, come i big data e la cybersecurity. Secondo gli esperti, l’IA prevede una forte collaborazione tra aspetti tecnologici e umani. Le conoscenze tecnologiche dovranno completarsi con quelle sociali ed emotive. Le aziende avranno bisogno del supporto, ad esempio, di professionisti come il manager della trasformazione digitale e del responsabile della resilienza organizzativa.
La disoccupazione provocata alla mannaia dell’IA potrà essere alleviata dai corsi di formazione professionale dei lavoratori. Quasi il 60% di loro dovranno essere, per così dire, soggetti a restauro. Ossia dovranno acquisire nuove competenze o perfezionare quelle esistenti, per adeguarsi alle nuove modalità lavorative. Della serie: quando il mercato chiama, l’impresa risponde e i lavoratori si adeguano!
Tuttavia, per una ragione o per un’altra, si rischia che circa l’11% di lavoratori non riusciranno a formarsi adeguatamente, trovandosi fuori dal mercato. Subiranno la sorte degli agnelli sacrificali alla nuova Dea contemporanea, l’essere supremo oggetto di venerazione da parte degli uomini: l’IA! Una classe politica adeguata dovrebbe garantire una tranquilla transizione del mercato del lavoro e una proficua gestione del processo di formazione dei lavoratori. Ma è più facile trovare un ago nel pagliaio che la competenza tra le forze politiche!