Nei “Rimpalli” di Teodoro Lorenzo il calcio, la vita e la memoria di un mondo perduto

Un delicato romanzo autobiografico che intreccia pallone e vita vissuta, ricordi d’infanzia e riflessioni esistenziali. Un viaggio nostalgico nella Torino operaia degli anni Sessanta tra campetti improvvisati e palloni di cuoio che, come i sogni, rimbalzano nel tempo.

Ci sono libri che raccontano una storia e altri che rievocano un’intera epoca, restituendo le emozioni di un tempo ormai lontano. Rimpalli di Lorenzo Teodoro (Voglino Editrice) è entrambe le cose: un romanzo autobiografico che si nutre di nostalgia, un tributo al calcio come passione pura e spontanea, ma anche un affresco vivido della Torino operaia degli anni Sessanta.

Lorenzo Teodoro: ex promessa del calcio, oggi fa l’avvocato e scrive per passione

Classe 1962, Lorenzo è oggi affermato avvocato ma è stato una promessa del calcio giocato: dopo la trafila nelle giovanili della Juventus, ha militato nell’Alessandria Calcio per poi appendere le scarpette al chiodo e lasciare l’agone dello stadio per quello del foro. Non stupisce dunque che nelle pagine del suo racconto il pallone da mero oggetto sportivo si trasfiguri in una sorta di fossile-guida grazie al quale ripercorrere la sua infanzia e adolescenza in una città che sta cambiando rapidamente, trasformata dal boom economico, dall’immigrazione interna e dall’espansione industriale. La narrazione ci riporta in una Torino che, in quegli anni, è il cuore pulsante dell’Italia che cresce: le fabbriche della FIAT attirano migliaia di famiglie dal Sud, i quartieri si riempiono di bambini che trovano nei cortili il loro primo campo da gioco e nelle figurine Panini i loro primi miti. Febbre di crescita, ma anche febbre e fame di calcio.

Un calcio fatto di fango e sogni

Non c’è dubbio: il grande protagonista del libro è proprio lui, il Pallone. Ma il calcio di cui si parla non è quello patinato e iper-professionale di oggi, bensì quello vissuto sulla pelle, fatto di palloni sgonfi e ginocchia sbucciate, di partite improvvisate su spiazzi di asfalto e di discussioni infinite su un gol segnato o meno tra due pietre o due segnacoli usati come pali.

Teodoro Lorenzo con la magia dell’Alessandria

Nei suoi ricordi, Lorenzo restituisce con straordinaria autenticità le emozioni del calcio vero, quello sacro alla dea Eupalla di breriana memoria. Quello vissuto come rito collettivo, lontano dalle accademie e dalle società sportive che oggi inquadrano i bambini in schemi rigidi sin dalla più tenera età. All’epoca non si parlava di “performance”, di “allenamenti mirati” o di “scouting”: si giocava per il puro desiderio di farlo, con la stessa leggerezza con cui si correva in bicicletta, si facevano rotolare le biglie e si costruivano le cerbottane con i tubi di plastica rubati nei cantieri.

Il racconto è ricco di episodi, che per chiunque abbia vissuto quegli anni, suonano incredibilmente familiari, basta cambiare nomi e luoghi: l’epopea delle partite nei cortili delle case popolari, dove il “Super Santos” era l’oggetto più prezioso e il terrore aveva un solo nome, Fumarola, il poliziotto dl quartiere che compariva all’improvviso come il babau per confiscare il pallone e riportare l’ordine tra le lamentele degli adulti. I pomeriggi avevano il sapore delle interminabili sfide con le figurine Panini, popolati di ragazzini che si sfidavano con giochi di destrezza e fortuna per aggiudicarsi le effigi stampate dei loro campioni preferiti, da Anastasi a Rivera, da Boninsegna a Tardelli. Il grido riecheggia argentino nella memoria: “Celo, celo, manca”.

L’epoca d’oro della Juventus e il mito di Pietro Anastasi

Anche “quel” calcio così puro, così bello però non era solo gioco: per Lorenzo che lo vive appieno è anche un’educazione sentimentale. E come ogni tifoso, anche lui ha un idolo, un giocatore che incarna i suoi sogni e che lo accompagna nei lunghi e grigi pomeriggi piemontesi trascorsi a calciare e fantasticare sulla gloria. Per lui, quel campione ha il volto scolpito di Pietro Anastasi, il bomber che dalla Sicilia arriva alla Juventus, simbolo di un calcio operaio e istintivo, fatto di rabbia e ardore, potenza e velocità.

Lorenzi nelle giovanili della Juventus

Lorenzo ricorda con emozione il gol di Anastasi nella finale degli Europei del 1968 contro la Jugoslavia: un colpo improvviso, una mezza girata potente e precisa, nata quasi da un errore di controllo ma trasformata in un gesto perfetto. È il ritratto di un giocatore che non si ferma davanti agli ostacoli, che trasforma ogni limite in un’occasione, proprio come fanno i bambini che guardando quelle figurine immaginano di trasfigurarsi per un attimo nei loro amati campioni. Sportivi che l’autore non mitizza affatto: di Anastasi racconta anche la fine malinconica di carriera, scaricato dalla Juventus senza tanti complimenti, simbolo di un calcio in cui la gloria dura lo spazio di un fischio e la riconoscenza, come l’attaccamento alla maglia, è merce rara. Un destino simile, il suo, a quello di tanti altri campioni di allora, uomini prima ancora che atleti, spesso dimenticati troppo in fretta da un mondo che cambia alla svelta, mastica e sputa gli idoli del pallone e ne cerca sempre di nuovi, senza mai guardarsi indietro.

La Torino operaia e il sogno della felicità

Ma pur essendo incentrato sul calcio, il libro di Lorenzo non è “solo” pallone. Rimpalli è anche una profonda, struggente riflessione sul tempo che passa e sulla felicità, effimera e cadùca, fugace proprio come padre lo scorrere dell’orologio. Per illustrare il concetto l’autore parte da un episodio ben preciso – un gol segnato da ragazzino in una partita decisiva – per poi costruire una riflessione a tutto tondo che attraversa la filosofia e la letteratura, da Omero a Sofocle. La felicità, ci dice l’autore, è un lampo improvviso, qualcosa che “accade” come un rimpallo fortunato, un attimo irripetibile che non si può trattenere. Proprio come il gol di Tardelli nella finale del Mondiale ’82, l’epica cavalcata di un giocatore – anzi, con lui di un intero Paese – che corre urlando, travolto da un’esplosione emotiva che nessuno potrà mai fermare, né forse ripetere.

Formazione dell’Alessandria calcio nell’anno 1983-84 (Lorenzo è il secondo in alto da sinistra)

E poi c’è la Torino operaia e operosa, grigia come la nebbia e le fabbriche ma nel contempo microcosmo che fagocita lingue, culture, provenienze diverse. Quanta nostalgia riverbera nelle descrizioni di quella città – anzi di quell’Italia – che oggi non esiste più: quella delle case di ringhiera, dei bagni in comune sul ballatoio, delle periferie che crescono attorno ai giganti industriali. Una città fatta di sacrifici e di speranze, dove ogni bambino sa che il proprio futuro sarà segnato da una scelta: seguire le orme dei padri nelle fabbriche o provare a inseguire un sogno diverso. Come facevano i piccoli calciatori scalzi nei cortili, sperando che un giorno, magari, qualcuno si accorgesse di loro.

Un libro che sa emozionare (e fa riflettere)

Rimpalli, dunque, è un libro per chi ama il calcio e per chi ama le storie di vita vissuta, raccontate con sincerità e nostalgia. È un viaggio nel tempo, in un’epoca in cui lo sport era ancora poesia, in cui il pallone era libertà e le partite non finivano mai, perché nessuno voleva tornare a casa finché il sole non calava.

La copertina del libro

Oggi il calcio dei bambini si gioca su campi in erba sintetica, con allenatori che insegnano schemi e tattiche fin da piccoli, con genitori che parlano già di “procuratori” e “opportunità”. E mentre sui social e in tv scorrono le imprese di campioni-divi irraggiungibili e strapagati, il libro di Teodoro Lorenzo ci ricorda che il calcio-quello-vero e sacro alla dea Eupalla, è sempre stato ben altro: sudore, fango, ginocchia sbucciate, corse a perdifiato, sfide leali e veraci. Storia che profuma di nostalgia, di sogni rincorsi a piedi nudi e di un pallone che rimbalza nel cuore ancora prima che sul campo, Rimpalli è un prezioso promemoria per tutti. Per chi il calcio lo ama o lo ha amato. Per chi lo ha praticato in gioventù. Per chi lo ha soltanto guardato, allo stadio o sul divano. E anche per chi, quel benedetto pallone, non lo ha mai guardato e non lo ha mai amato.

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