La produttività compulsiva o tossica alla lunga può danneggiare il benessere psicofisico. Forse è ora di dire basta.
Nel lontano 1975 uno slogan pubblicitario “Il fumo avvelena anche te, digli di smettere” irruppe nella vita quotidiana dei cittadini italiani. Era un’informazione non tanto basata sul divieto di fumare ma sui danni del fumo passivo. La campagna pubblicitaria fu curata da Pubblicità Progresso, una fondazione istituita nel 1971 allo scopo di contribuire con creatività alla realizzazione di campagne pubblicitarie dedicate alla soluzione di problemi morali, civili ed educativi, e distribuite gratuitamente.
Ora, uno slogan del genere potrebbe essere utilizzato per la produttività, il totem tanto adorato che spinge le persone a fare sempre qualcosa, a non avere pause e pure quando ci sono, le vacanze, si innesca lo stesso meccanismo. Al punto che se non si è impegnati si avverte un senso di colpa. La psicologia ha definito questa condizione “produttività tossica”, ossia uno sforzo costante per produrre a qualsiasi costo, che provoca danni al benessere psicofisico. Chi ne è vittima, avverte l’impulso che ogni momento della giornata è prezioso per fare qualcosa e se non capita di non riuscire si va in fibrillazione. E’ come essere fagocitato da un vortice che non fa mai staccare la spina, perché il fine ultimo di ogni azione dev’essere “non perdere tempo”.
Chi si comporta così, spesso, è molto abitudinario, ogni fase della giornata è organizzata al dettaglio al punto tale che il riposo è sconosciuto. In questo modo si trascura la salute, non dando peso ai segnali di stanchezza. Una delle cause può derivare dalla tendenza al perfezionismo, da cui scaturisce la produttività compulsiva, che, a sua volta, genera assuefazione. I social hanno esacerbato una situazione, di per sé, esplosiva, per cui il confronto con gli altri è ancora più intenso. Inoltre, le persone che fondano la loro autostima sui successi professionali sono particolarmente predisposte a questo malessere.
Gli effetti sulla salute sono vari, tra cui: stress, che non manca mai come ingrediente nocivo per il benessere psicologico; distrazione continua; sfibramento emotivo; irritabilità; angoscia. Queste sensazioni si trasformano in malesseri fisici, come disturbi del sonno e problemi gastrointestinali. L’aspetto pericoloso è che chi ne soffra fa spallucce, considerandoli sintomi leggeri e passeggeri. In realtà, molti studi hanno dimostrato che lo stress cronico può causare problemi psicologici molto seri, come burnout, depressione e attacchi di panico. Inoltre, si manifestano contraccolpi anche nella vita privata con crescita dei conflitti interpersonali e isolamento sociale in quanto diminuisce il tempo da dedicare ai rapporti familiari e amicali.
Tutto questo movimento alla fine sembra simile alla corsa del ciuccio, come recita un motto partenopeo apostrofando così chi si affretta a fare cose inutili, come l’asino che avanza il passo in prossimità della stalla. Anche nel nostro caso tutta questa agitazione, alla resa dei conti, si rivela improduttiva. Nel lungo periodo, infatti, tutti gli effetti nocivi producono un calo della creatività e concentrazione, oltre alla crescita dell’errore. Bisogna essere consapevoli che le prestazioni lavorative possono subire una flessione senza farne un dramma, perché per lavorare bene, bisogna… lavorare meno, apprezzando la pausa come momento di recupero. Imparare ad oziare fa bene alla salute e costituisce un antidoto alla struttura sociale impostata sulla performance estrema. E’ ora di dire basta!