Da Pomigliano a Cassino lavoratori in agitazione. Preoccupati per il calo della produzione e il forte ricorso alla cassa integrazione.
Roma – Resta alta la tensione sul caso Stellantis, dopo le dimissioni di Carlos Tavares, uno dei padri della fusione nel 2020 tra Psa e Fca. Da una parte la politica che in un coro bipartisan chiede a gran voce “Ora John Elkann venga al più presto in Parlamento“, dall’altra i sindacati che sono sul piede di guerra. E poi ci sono i lavoratori che sono molto preoccupati per il loro futuro. I dipendenti dei sottoservizi stanno bloccando da questa mattina il ‘cancello 4’ cioè l’ingresso merci dello stabilimento Stellantis Cassino Plant attraverso il quale entrano le materie prime per la produzione ed escono le bisarche con le Alfa Romeo Giulia e Stelvio e le Maserati Grecale realizzate sulle linee.
A mettere in atto la protesta sono stati i lavoratori della logistica interna Logitech e della Tecnoservice che da settimane manifestano insieme ai loro colleghi della De Vizia appaltatrice delle pulizie industriali. Nelle tre aziende è previsto un taglio complessivo di 150 unità al 31 dicembre con il mancato rinnovo dei contratti di servizio: Stellantis intende internalizzare le loro attività, affidandole a suoi lavoratori riducendo così i tagli interni che nel 2025 dovrebbero ammontare, secondo stime sindacali, a circa 600 unità. Ieri i lavoratori avevano manifestato bloccando l’Ingresso 2 cioè il varco dal quale accedono gli impiegati ed i quadri ed
avevano creato un corridoio con dei lumini funerari accesi.
Il sindaco di Piedimonte San Germano ha ricevuto in queste ore la risposta alla sua richiesta di incontro con il direttore dello stabilimento Cassino Plant: a rispondergli è stata direttamente la direzione nazionale dell’azienda “ci ha comunicato che la questione è trattata su un tavolo nazionale presso il Ministero dell’Industria. Noi sindaci non partecipiamo a quel tavolo ma siamo chiamati ogni giorno a fronteggiare le
conseguenze di questa situazione”. Anche a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, ieri c’è stato il presidio di Transnova, azienda che si occupa di logistica per Stellantis. Le tute blu sono rimaste per ore davanti ai cancelli dello stabilimento Giovanbattista Vico con striscioni e bandiere intonando cori contro il dimissionario amministratore delegato Tavares. Numerosi anche i tir fermi sulla strada di accesso al sito produttivo, paralizzando l’ingresso merci. Gli operai hanno manifestato contro la scadenza della commessa, prevista per il 31 dicembre. Un’incertezza che lascerebbe nel limbo centinaia di lavoratori che operano nell’indotto.
Cresce così la tensione all’indomani dell’addio di Carlos Tavares, ceo di Stellantis, al gruppo automobilistico, comunicato in anticipo di un anno sui tempi previsti dal contratto che sarebbe scaduto nella primavera del 2026. Per lui si parla di una buonuscita di 100 milioni di euro. A incidere sull’importo, secondo indiscrezioni che l’azienda non conferma, sarebbe proprio l’uscita anticipata. Secondo alcune valutazioni, il manager avrebbe percepito uno stipendio annuale di circa 40 milioni di euro negli ultimi anni. Per questa cifra è stato definito il manager del settore automobilistico più pagato al mondo. Anche per queste ragioni, il suo addio ha scatenato una durissima reazione da parte delle forze politiche di opposizione che lanciano critiche al governo e chiedono a Giorgia Meloni l’immediata convocazione del presidente del gruppo, John Elkann, in Parlamento.
Contro la gestione del governo su Stellantis è intervenuto tempestivamente il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. “Il caso Stellantis conferma la necessità che noi chiediamo da tempo, che la presidenza del Consiglio convochi il gruppo dirigente di Stellantis e i sindacati per discutere su quali politiche industriali e quali investimenti si fanno nel nostro Paese visto che succede ciò che non succedeva dagli anni ’50, ovvero quest’anno si produrranno negli stabilimenti italiani poco più di 300mila auto contro una capacità produttiva di quasi un milione e mezzo. Numeri che dicono che è necessario avere chiaro che investimenti si fanno e che modelli si realizzano”, ha detto il segretario Cgil.
I sindacati, preoccupati per il calo della produzione e il forte ricorso alla cassa integrazione, chiedono “un cambio di passo”. “Ci aspettiamo nel tempo più breve possibile un nuovo management che dia discontinuità rispetto al passato sugli impegni occupazionali, produttivi e industriali”, dice Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. Anche la Fiom chiede “un piano industriale e occupazionale subito”, mentre la Fim parla di un momento di svolta per Stellantis e per il settore automobilistico italiano”.
Il ministro e vicepremier Matteo Salvini torna all’attacco rivolgendo dure critiche a John Elkann. “Avrebbe già dovuto venire in Parlamento e con un assegno, non a parole – ha detto -. Con un assegno che ricordi quanti miliardi di euro negli anni questa azienda di denaro pubblico ha incassato, ci sono ancora prestiti garantiti dallo Stato per miliardi di euro, a fronte di quali risultati economici, di quali chiusure, di quali licenziamenti e cassa integrazione”. Il leader della Lega ha poi sottolineato che “questa azienda che quando c’è qualcosa da guadagnare, incassa e scappa e quando c’è qualcosa da chiedere lo chiede ai suoi operai”.
Nel frattempo arrivano dati non confortanti sul mercato delle auto in Italia. Novembre ancora in rosso, secondo le cifre diffuse dal ministero dei Trasporti: le immatricolazioni sono diminuite del -10,8% a 124.251 unità. Negli undici mesi da gennaio a novembre, le immatricolazioni sono diminuite del -0,2% a 1,452 milioni di auto. I trasferimenti di proprietà sono stati invece 470.757, in aumento dello 0,17% rispetto a novembre 2023. Il volume globale delle vendite mensili, pari a 595.008, ha interessato per il 20,88% vetture nuove e per il 79,12% vetture usate. Dalla sua nascita Stellantis ha progressivamente trasferito all’estero gran parte della produzione e progettazione. E qui sono piovute critiche continue della politica e dei sindacati. Così all’inizio dell’anno Tavares aveva detto che il gruppo voleva tornare a produrre in Italia un milione di veicoli entro il 2030, un obiettivo che appare lontano dall’essere realizzabile, vista l’uscita di scena del ceo.