Ue condanna l’Italia: “contenzione psichiatrica per 8 giorni su paziente”

Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani ODV ripercorre la vicenda di Matteo Lavorgna, che dovrà essere risarcito con 41600 euro.

Roma – La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per l’uso eccessivo di contenzione su un paziente psichiatrico, definendolo trattamento inumano e degradante. Il caso riguarda Matteo Lavorgna, tenuto immobilizzato per giorni in un ospedale e sottoposto a pesanti sedazioni. Una sentenza che solleva il bisogno urgente di regolamentare la contenzione in psichiatria e tutelare meglio i diritti umani. Ne dà notizia il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani ODV in una nota, sottolineando che la Corte ha condannato lo stato italiano al pagamento di 41.600 euro a Matteo Lavorgna come risarcimento per essere stato sottoposto a otto giorni di “contenzione ininterrotta nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Melzo (Milano) nel corso di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

Il CCDU, organizzazione di volontariato di vigilanza e denuncia in ambito salute mentale, rileva “l’immobilità della psichiatria istituzionale italiana, che sembrerebbe fare orecchie da mercante alle raccomandazioni della comunità internazionale, della Corte Europea peri Diritti Umani e della Corte Costituzionale. “Nei reparti psichiatrici – fa notare – si riproduce la stessa logica manicomiale che fu oggetto di contestazione negli anni della riforma. Persiste un impiego sistematico di pratiche manicomiali, come il ricovero coatto, le porte chiuse e le grate alle finestre, il sequestro dei beni personali, la limitazione e il controllo delle telefonate, la limitazione delle visite e il ricorso diffuso alla contenzione meccanica e farmacologica.

La contenzione meccanica

Il Comitato chiede per questo “l’implementazione immediata di quanto richiesto dall’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani: il riconoscimento della capacità giuridica per tutte le persone in cura presso i servizi di salute mentale, la fine di tutte le pratiche di trattamento involontario, il coinvolgimento delle associazioni e del supporto paritario, l’abbandono del superato modello biologico-meccanicistico e l’adozione di un paradigma centrato sulla persona e rispettoso dei diritti umani”. Anche le Nazioni Unite, nella persona dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, chiedono a gran voce la messa al bando delle pratiche coercitive e l’implementazione del CRPD (Convention on the Rights of Persons with Disabilities – Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità). 

La sentenza cita esplicitamente alcune “pratiche che, a ben guardare, non sono peculiari del caso in questione ma sono invece piuttosto diffuse nel Belpaese”, si rileva nella nota. Come la “mancanza di documentazione che dimostrasse la necessità di una contenzione così prolungata (accompagnata perlopiù da sedazione): la violazione delle raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura che limita a poche ore la possibilità di contenzione, al termine delle quali si rende necessario un riesame di cui, però, non c’era traccia. Nel corso dell’ultimo giorno di contenzione, i medici del servizio psichiatrico richiedevano il trasferimento di Lavorgna in un ‘contesto più appropriato’ perché la (molto umana) reazione del paziente a un trattamento così brutale, definito dagli stessi medici problematico ed ‘eticamente dubbio’, si configurerebbe come ‘pericolo sociale'”.

La contenzione “prolungata e non necessaria”, sottolinea ancora il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani ODV, ha “esposto Lavorgna a dolore e sofferenza in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Non è la prima volta che le autorità internazionali ci bacchettano per il mancato rispetto dei diritti umani in psichiatria. Nel 2023 – si ricorda – fu pubblicato il rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle Pene e Trattamenti Inumani o Degradanti (CPT), un’emanazione del Consiglio d’Europa, sul risultato dell’ispezione in quattro reparti psichiatrici italiani, da cui uscì un quadro inquietante. Il CPT esegue ispezioni quadriennali in tutti i paesi della Comunità Europea per verificare l’adeguatezza agli standard comunitari nei loro ambiti di competenza (psichiatria, residenze per anziani, carceri e immigrazione). Dal 2004 in poi, le ispezioni del CPT in Italia si sono sempre concluse con raccomandazioni, regolarmente ignorate, di risolvere le gravi carenze”.

Le ispezioni, svolte tra marzo e aprile 2022 in quattro reparti psichiatrici ospedalieri (Milano Niguarda, Melegnano, Cinisello Balsamo e Roma San Camillo) “rivelano un’incapacità di staccarsi dal modello manicomiale. Il Comitato elenca punto per punto, le “critiche rivolte all’Italia dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura: condizioni igieniche inadeguate (soprattutto al San Camillo, ma anche in Lombardia) e assoluta mancanza di accesso a zone di verde e all’aria aperta, anche questo in contrasto con lo standard prevalente in Europa (est e ovest) e con quanto richiesto dal CPT. Eccessivo uso della contenzione fisica in tutti gli SPDC visitati (con punte in Lombardia, dove l’otto percento dei pazienti ricoverati in psichiatria è legato – centinaia di pazienti ogni anno) Eccessiva durata della contenzione fisica (in media diversi giorni) in contrasto con lo standard CPT, che non esclude la contenzione, ma la vede come strumento da usare in pochi casi e per un tempo limitato”.

Gli strumenti usati per la contenzione

E ancora, “l’eccessivo ricorso, nella contenzione, allo ‘stato di necessità’ (art 54 del codice penale: stabilisce l’impunibilità di chi commetta un reato spinto dalla necessità di salvare sé o altri). Ciò rappresenta un cortocircuito giuridico, che annulla i diritti dei pazienti. Uso della contenzione su pazienti ‘volontari’ – prosegue la nota – in violazione delle raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura, che non contemplano questa possibilità. Mancanza di una vera tutela giuridica nei TSO perché il giudice tutelare, in barba alle raccomandazioni reiterate dal CPT ogni quadriennio dal 2004 a oggi, svolge una funzione meramente burocratica, paragonabile al timbrare una lettera in un ufficio postale: firma un modulo prestampato, senza mai entrare nel merito, valutare il caso specifico né vedere personalmente il malcapitato – nemmeno tramite video. Lo standard europeo, utilizzato in quasi tutti i Paesi della UE, compresi quelli dell’est, prevede invece che il giudice veda la persona e ascolti le sue ragioni, non solo in occasione del primo TSO ma anche prima di ogni eventuale rinnovo”.

Infine, la “mancanza di informazioni ai pazienti. Molti di quelli intervistati dal CPT erano incoscienti del loro stato giuridico, non sapevano se fossero volontari o sotto TSO, e non erano consapevoli dei loro diritti. In quasi tutti i paesi UE, compresi quelli dell’ex Jugoslavia, nei reparti di psichiatria sono presenti brochure con spiegazione della procedura e dei diritti del paziente”, sottolinea il CCDU,

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