Violenza di genere: la Convenzione di Istanbul è rimasta lettera morta

Sono passati dieci anni, agosto 2014, da quando fu ratificata. Donne in Rete contro la violenza ritiene che c’è ancora molto da fare.

Roma – La Convenzione di Istanbul per il contrasto della violenza di genere è rimasta lettera morta. La cronaca ci racconta, quasi quotidianamente purtroppo, di episodi di violenza contro le donne. Sono passati dieci anni, agosto 2014, da quando fu ratificata la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e quella domestica. Eppure, da allora, di acqua fetida sotto i ponti ne è passata tanta. Nel senso che i casi di violenza domestica nei confronti delle donne da parte del marito o compagno di vita hanno raggiunto numericamente livelli altissimi.

Si pensava che la Convenzione avrebbe dovuto produrre benefici, in quanto si tratta di uno strumento giuridicamente vincolante, in cui viene esplicitato che la violenza di genere viola i diritti umani. Per giuridicamente vincolante si intende una norma giuridica che istituisce un obbligo o un diritto per i soggetti di diritto. In nostro Paese si è… distinto per averla disattesa in tutti i settori! Nella Convenzione sono stati regolati varie aspetti: dai servizi di protezione per le vittime all’indicazione di inserire nei programmi scolastici materie come l’uguaglianza di genere. Inoltre, tutela per i bambini, sanzioni e misure repressive per chi si è reso responsabile del reato. In Italia c’è ancora tanto da fare, almeno secondo quanto è trapelato da D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza. Si tratta di un gruppo di 87 Organizzazioni sul territorio italiano, che gestisce 106 Centri Antiviolenza e più di 60 Case Rifugio, offrendo consulenza ogni anno a circa di 21 mila donne.

Per quanto riguarda la prevenzione l’Italia mostra le sue magagne. Infatti, come emerge dal “Rapporto delle Italians Women’s”, a cura di D.i.Re, nell’ultimo decennio solo il 13% delle risorse finanziarie stanziate dalla “Legge sul femminicidio”, la 119/2913 è servito per la prevenzione. Per quanto riguarda la necessità, come recita la Convenzione, di inserire nei programmi scolastici “materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, la violenza contro le donne basata sul genere”, è come brancolare nel buio. Allo stato attuale manca una visione complessiva dell’argomento e il tutto viene lasciato alla buona volontà o di qualche singolo docente o di qualche scuola. Una seria politica educativa nel nostro Paese langue, tanto è vero che l’educazione “sessuo-affettiva” risulta sconosciuta ai legislatori. I libri scolastici sono basati su paradigmi obsoleti, incentrati solo sugli aspetti biologici e medici dell’educazione sessuale. Affettività, consenso relazione interpersonale, pianificazione familiare sono temi sconosciuti ai legislatori, ma fondamentali per un sano sviluppo dei bambini e ragazzi.

I Centri Antiviolenza non sono diffusi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, col Sud Italia che evidenzia le sue ataviche lacune. Un aspetto rilevante si è rivelato il “reddito di libertà” per le donne vittime di violenza, reso strutturale dal 2020, dopo una fase di sperimentazione. A questa nota positiva, si aggiunge, però, una criticità costituita dal poco numero di domande accolte rispetto a quelle presentate e il sussidio troppo basso. Mancano, ancora, i dati relativi alle donne con disabilità vittime di violenza. Gli ultimi risalgono a dieci anni fa, da cui emergeva un 36% di donne disabili vittima di forme di violenza. Molte di queste sventurate, ad esempio quelle con disabilità sensoriali, non sono in grado di usufruire dei servizi di sostegno, per la carenza di strumenti adeguati.

molestie violenza stupro
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E’ necessario che le istituzioni, magistratura, forze di polizia, enti locali e regionali, associazioni e organizzazioni non governative, lavorino in maniera sinergica per produrre risultati fruttuosi. L’aspetto controproducente per l’Italia è l’assenza di meccanismi adeguati per raggiungere lo scopo. Si lavora per conto proprio e, quindi, si comprende perché non si raggiunge l’obiettivo comune. Solo operando in maniera strutturale, la Convenzione di Istanbul potrà essere attuata. In caso contrario, si continuerà ad assistere allo scempio, senza proporre soluzioni efficaci!

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