L’esempio di Livatino, la politica ricorda il “giudice ragazzino” dallo sguardo puro

Il magistrato ucciso dalla Stidda 34 anni fa e proclamato beato nel 2021 resta un faro nella lotta alla criminalità e al malaffare.

Roma – La politica ricorda il sacrificio e l’esempio di Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” dallo sguardo puro. Era il 21 settembre del 1990 e quel giovane magistrato aveva solo 38 anni. Trentaquattro anni fa, ricorda il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il giudice Livatino fu barbaramente ucciso in un agguato mafioso mentre si recava al Tribunale di Agrigento. Magistrato coraggioso, uomo di fede, servitore dello Stato, Livatino ha pagato con la vita il suo impegno nella lotta contro la criminalità organizzata. Con le sue indagini – ricorda il titolare del Viminale – fu tra i primi a individuare gli stretti collegamenti che legavano malavita e gruppi imprenditoriali, dando così nuova linfa all’azione di contrasto alle mafie”.

La premier Giorgia Meloni, in un messaggio su X parla di “un servitore dello Stato e un uomo di profonda
fede
che dedicò la sua vita alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, senza paura e senza mai piegare la testa. Anche nel suo ricordo prosegue il nostro impegno nella lotta contro la mafia e contro ogni forma di criminalità. L’Italia non dimentica”. E il Guardasigilli Carlo Nordio afferma che questo anniversario “è molto di più del grato ricordo di un servitore del Paese caduto nell’adempimento del dovere. E’ piuttosto la venerazione di un beato immolatosi alla fede. Due anni fa abbiamo onorato, prima al ministero e poi
in Chiesa, la reliquia insanguinata del giovane martire.
Oggi la Sua memoria ci ispira a proseguire nel cammino della legalità e del coraggio”.

L’uccisione del giudice sui giornali dell’epoca

Raoul Russo, senatore FdI e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle
mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, parla del suo “sguardo puro”. Livatino “è stato un
giovane magistrato che nel corso della sua breve vita ha saputo fronteggiare la ‘Stidda’, il malaffare intrecciato con l’attività mafiosa e con certa politica compiacente. La sua morte e la sua successiva beatificazione – aggiunge – permangono nella nostra memoria come segno indelebile di un impegno civile, di un esempio che dobbiamo marchiare a fuoco nella nostra mente, in quanto quell’impegno civile e quell’esempio rappresentano la libertà di svolgere il proprio lavoro senza condizionamenti e ammiccamenti nei confronti del potere mafioso e di chi lo sorregge nell’ombra”. 

E’ poi il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, a tracciare una differenza tra il giudice ragazzino e una certa “magistratura politicizzata”. Accanto a tanti “magistrati eroici come Livatino, – fa notare – ci sono purtroppo personaggi diversi. Alcuni impegnati a perseguitare gli eroi della lotta alla criminalità. Ma non dobbiamo lasciare che il comportamento errato di alcuni magistrati politicizzati faccia
predominare la malagiustizia. Portiamo avanti la memoria di Livatino, che sia di ispirazione per tanti altri. La criminalità organizzata va contrastata in nome della giustizia e della legalità. Perseguitare chi la combatte significherebbe fare il gioco delle mafie”.

La beatificazione del giudice Rosario Livatino

Si affida a un pensiero del giovane magistrato beatificato il deputato Dem Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd Sicilia e segretario della commissione nazionale Antimafia. “‘Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili’. È questo uno degli insegnamenti che ci ha lasciato Rosario Livatino, il magistrato ucciso dalla ‘stidda’ agrigentina il 21 settembre 1990. Aveva solo 38 anni e, anche per questo, fu definito ‘il giudice ragazzino’. Ma Livatino toccò con mano e direttamente -da solo- l’influenza e la pervasività della mafia nella pubblica amministrazione, constatò la corruzione diffusa. E grazie anche alle sue indagini che nella nostra Isola si scoperchiò la ‘tangentopoli siciliana”’.

Livatino si occupò anche di sollevare le ombre sui finanziamenti regionali sulle cooperative giovanili di Porto Empedocle e sul maxi giro di fatture false o gonfiate per opere mai realizzate. Fece la guerra ai fenomeni corruttivi e fu tra i primi in Italia, ad applicare la misura della confisca dei beni ai mafiosi. Ma il colpo che lo portò alla ribalta delle cronache fu senza dubbio l’indagine che portò al maxiprocesso contro le cosche mafiose di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Ribera. Furono 40 le condanne ottenute. Un colpo durissimo alla mafia agrigentina, quella Stidda nata per contrapporsi a Cosa nostra e allo strapotere dei Corleonesi, che pretendevano di estendere il loro dominio anche nelle zone centro-meridionali della Sicilia.

La tomba del giudice Livatino

La sua fine è impressa nel ricordo di tutti: il 21 settembre del 1990, sulla strada che da Caltanissetta porta ad Agrigento, dove era impiegato presso il Tribunale come giudice a latere, Livatino fu speronato mentre era alla guida dalla macchina di un commando mafioso legato alla Stidda, organizzazione criminale rivale di Cosa Nostra ma altrettanto feroce. La vecchia Ford Fiesta del giudice finì la sua corsa contro il guard-rail. Ferito a una spalla, il magistrato tentò di fuggire attraverso ai campi, ma i suoi killer, implacabili, lo raggiunsero e lo finirono a colpi di pistola. Era giustiziato per aver avuto un enorme coraggio e aver profuso altrettanto impegno nel contrasto al malaffare.

Eppure Livatino non aveva scorta, non aveva una macchina blindata. Tanto che i suoi colleghi, subito dopo l’agguato, denunciarono lo stato d’abbandono in cui erano obbligati a lavorare, esposti a ogni genere di rischio personale. Le indagini – concluse nel 2001 – portarono all’arresto e alla condanna degli esecutori materiali e dei mandanti. La sua fede lo ha sempre contraddistinto: tanto che il 9 maggio del 2021 è stato proclamato beato. Il Centro studi Rosario Livatino ricorda sul proprio sito che nell’agenda del magistrato, alla data 18 luglio 1978, si legge che “oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”.

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