Allargando la fascia di età fino ai 64 anni, il tasso di occupazione femminile è del 55% nel Belpaese, contro il 70% europeo.
Roma – Maternità e lavoro non vanno d’accordo. È inutile illudersi: nonostante, secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), il 30% degli imprenditori siano donne, con un leggero incremento rispetto a qualche anno fa, quasi il 50% con figli piccoli e con un’età inferiore ai 50 anni ha dovuto rinunciare al lavoro. Ancora una volta, maternità e lavoro si guardano in cagnesco.
Le donne imprenditrici si suddividono per il 90% nei servizi, mentre è molto bassa la percentuale nel settore industriale (6,4%) e nelle costruzioni (2,9%). Nello specifico, le donne imprenditrici sono presenti in quote superiori ai colleghi maschi nelle attività tecniche e scientifiche, sanità e assistenza sociale, alloggio e ristorazione, servizi alla persona. Nel termine “imprenditori” sono generalmente compresi anche i liberi professionisti che non “fanno impresa” e sono senza dipendenti.
Le libere professionisti confermano una tendenza presente anche tra le dipendenti: le retribuzioni sono più basse di quelle dei colleghi maschi, una criticità che si ripete spesso. Secondo i dati diffusi da “AdEPP – Associazione degli Enti Previdenziali Privati”, negli ultimi 17 anni la quota di donne iscritte si è notevolmente incrementata. La crescita, tuttavia, non è compensata da un reddito medio adeguato. Il 50%, infatti, ha dichiarato nel 2022 un reddito minore ai 17 mila euro.
Un altro aspetto emerso è relativo all’età media delle imprenditrici, più giovane degli uomini. Inoltre, sono in possesso di un titolo di studio come la laurea in percentuale maggiore rispetto agli uomini. Quando c’è un titolo di studio terziario, pare che il “gender gap” si riduca. Questo stato dell’arte è determinato dalla constatazione che si laureano più donne che uomini, con voti maggiori e in minor tempo. Se è vero che un elevato titolo di studio rappresenta una sorta di lasciapassare per varcare la fatidica soglia del mercato del lavoro, non lo è quando si diventa madri.
Poco meno della metà delle donne tra i 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è disoccupata. Allargando la fascia di età fino ai 64 anni, il tasso di occupazione femminile è del 55% nel Belpaese, contro il 70% europeo. Questi dislivelli vengono confermati confrontando i dati degli immigrati: il 55,3% delle donne nate fuori dall’Europa è occupata, mentre sono il 69,7% quelle che lavorano nate sul suolo europeo.
Molto numeroso è il cosiddetto lavoro “non-standard”, ovvero quei contratti non continuativi e a bassa intensità lavorativa. In pratica rapporti di lavoro a termini e part time non richiesto dal lavoratore. Questi particolari lavori sono più… attratti dalle donne che dagli uomini, a confermare che a pagare il prezzo più alto è costantemente il sesso femminile. Il tasso si impenna tra le donne giovani, nel Mezzogiorno d’Italia, tra quelle in possesso solo della licenza media inferiore e raggiunge l’apice tra le straniere.
Si spera che entro il 7 giugno 2026 la situazione muti. Si tratta della fatidica data entro cui si dovrà recepire la direttiva europea 2023/970 del 10 maggio 2023, secondo cui si dovranno rispettare requisiti minimi per applicare la parità retributiva e vietare discriminazioni di genere. L’Italia ha messo a punto una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 orientata a ridurre il tasso occupazionale femminile, quello tra donne con figli e senza, incentivare le imprese femminili e favorire la parità salariale.
Chiunque sia dotato di un minimo di sensibilità umana non può che augurarsi che la strategia produca risultati concreti, confidando che per la messa a punto i… meccanici e gli ingegneri siano all’altezza dell’arduo conto!