Un’enorme falda idrica sotterranea individuata dagli scienziati nelle viscere dei monti Iblei. Non sarebbe difficile da estrarre, ma nessuno dalla Regione ha contattato gli autori della scoperta.
RAGUSA – Si dice da secoli che la Sicilia sia ricca d’acqua sotterranea ma gli acquedotti colabrodo, in uno con politiche miopi e colluse, sono i veri responsabili dell’atavica sete dell’Isola. Poi se ci mettiamo che la pioggia scarseggia la situazione diventa disastrosa, se non da allarme rosso. E senza bisogno di addossare colpe alla crisi climatica che, in questo caso, c’entra poco e niente nonostante il parere di alcuni cervelloni assoldati dal potere di turno. La riprova a queste affermazioni la troviamo nella recente scoperta di una enorme falda idrica sotterranea, di epoca preistorica risalente a 6 milioni di anni fa, che gli scienziati dell’Università di Malta, dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Università Roma 3, hanno individuato nelle viscere dei monti Iblei dove sono presenti 17 chilometri cubi di acqua ad una profondità tra i 700 e i 2.500 metri. Un vero e proprio giacimento d’acqua fossile rinvenuto durante le ricerche di idrocarburi.
Insomma si cercava petrolio ed è zampillata una montagna d’acqua la cui enorme quantità non può essere ancora espressa in numeri. Il bacino è formato da acqua solo in parte debolmente salmastra che potrebbe essere utilizzata per usi irrigui, per gli allevamenti e, con gli opportuni trattamenti, anche a fini idropotabili. Una prima stima, a seguito di rilevamenti tridimensionali del sottosuolo, parlano di qualcosa come 17,5 chilometri cubi di prezioso liquido.
Per di più, come dicevano gli anziani secoli fa, bacini simili a quello degli Iblei, anche se ancora non localizzati, si trovano sicuramente in altre parti della Sicilia e importanti risorse idriche si possono ricavare anche dal sottosuolo dell’Etna. Insomma una vera manna dal cielo, anzi da sottoterra sarebbe il caso di dire, per una regione la cui compagine politica, nei decenni, non è stata in grado di risolvere il problema:
”In questi otto mesi – racconta Lorenzo Lipparini, ricercatore Ingv-Università di Malta, docente all’università Roma Tre e primo autore dello studio insieme ai colleghi Roberto Bencini e Aaron Micallef – non siamo stati contattati né dalla Regione Siciliana, né dalla Protezione civile. Solo il Cnr, che stava curando delle ricerche per una rete di organizzazioni agricole, ci ha chiesto degli approfondimenti. Molto più interesse si è registrato a Malta, che ha esigenze di approvvigionamento idrico che è facile intuire, e in Libia, Tunisia, Marocco e in altri Paesi dell’Africa Settentrionale e Centrale nei quali le acque sotterranee possono sottrarre milioni di persone alla sete e al deserto. Lo studio è stato presentato anche a Oslo e ad un convegno a Ragusa ma dalla politica siciliana e nazionale non abbiamo colto interessamenti particolari”.
Qualcuno accampa difficoltà per emungere acqua dal sottosuolo ma il ricercatore smentisce questa scuola di pensiero ovviamente strumentale e dietrologica atteso che il petrolio, più pesante dell’acqua, si può portare in superficie da chilometri di profondità:
“Credo che non ci vorrebbe molto ad attingere l’acqua che all’altezza di Vizzini e Licodia Eubea si trova a 7-800 metri sotto il livello del suolo – aggiunge Lipparini – Non dovrebbe essere difficile intercettarla e riportarla in superficie. Credo che sia un progetto fattibile e con investimenti neanche considerevoli. Immagino che questo giacimento possa rappresentare una scorta da utilizzare nei momenti di criticità. Un po’ come avviene per il gas, stoccato nei mesi estivi quando l’utilizzo è minimo, si utilizza poi in inverno quando la richiesta è alta. Credo sia possibile allacciare questo polmone d’acqua alla rete siciliana e utilizzarlo quando le altre risorse idriche non sono sufficienti. I valori di questo giacimento sono importanti.
Insomma si cercavano idrocarburi e abbiamo trovato l’acqua come spesso accade quando si fanno questi test. Poi c’è l’Etna che è un acquifero importante. Gran parte di queste risorse non vengono utilizzate. In questo caso non si tratta necessariamente di bacini fossili, che è pur probabile che esistano, ma di acque che andrebbero investigate e, dopo gli opportuni interventi di messa in efficienza, immesse nelle reti idriche. Il vulcano è sicuramente molto ricco di acqua”. Qualcuno però pensa che la sete può attendere, il Ponte sullo Stretto no…