Biodiversità, il 50% del Pil globale dipende dalla salvaguardia della natura

Il Parlamento Ue approva il “Nature restoration law”, per riattivare quanto meno il 20% delle aree terreste e marine europee entro il 2030.

Roma – Biodiversità ed economia possono andare d’accordo? Oggi si sente tanto parlare di biodiversità, tanto da essere diventata una locuzione familiare tra l’opinione pubblica. Per essa si intende, secondo la definizione della Convenzione dell’ONU, la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono, evidenziando che essa include la diversità a livello genetico, di specie e di ecosistema.

Solo adesso gli economisti… si sono accorti che oltre il 50% del PIL mondiale, pari ai circa 40 miliardi di euro, è frutto delle risorse naturali. Secondo queste floride menti la scomparsa della biodiversità produce scarsezza alimentare ed energetica, accresce il rischio di disastri naturali e fa avvertire la sua influenza sull’economia. L’Italia può essere considerata come uno tra i Paesi più fortunati, in quando è dotato di un elevato patrimonio di biodiversità. L’Unione Europea si sta dando da fare su questa tematica, tanto che il 17 giugno scorso è stato approvato dal Parlamento europeo la prima legge sul ripristino della natura, col “Nature restoration law”. Con questo regolamento si pensa di riattivare quanto meno il 20% delle aree terreste e marine europee entro il 2030, il 60% per il 2040 e il 90% entro il 2050.

Le imprese agro-alimentari, agricole e ittiche dovranno cambiare, passare da pratiche estensive a rigenerative. Secondo le stime questo passaggio verso l’agricoltura rigenerativa causerà, nella fase iniziale, una perdita dei profitti del 50% per poi essere pareggiata nel medio-lungo periodo con profitti per ettaro del 40% maggiori rispetto alle pratiche di agricoltura come l’abbiamo conosciuta finora. Ed è in questa fase di transizione che sono necessarie nuove professionalità e competenze. A proposito di difesa della biodiversità è rilevante quanto è stato pubblicato nel rapporto “Piccoli Comuni e alberi monumentali d’Italia” secondo cui il nostro territorio è fornito di oltre 250 specie di alberi monumentali che popolano il Paese, che mostra inoltre una speciale relazione tra i piccoli comuni e i monumenti italiani, raccolti in un censimento in continua crescita grazie al lavoro del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.

Su un totale di 4.287 alberi monumentali individuati ad aprile 2024 sul territorio italiano, 2.107 si trovano nei piccoli comuni. Sono inoltre 1.548 i comuni italiani con almeno un albero monumentale, di questi 962 sono piccoli comuni. Guardando allo specifico delle regioni, il primato per numero totale di alberi monumentali spetta al Friuli-Venezia Giulia, con 454 monumenti verdi, di cui quasi la metà, 209, nei piccoli comuni.

Ed ecco che si stanno diffondendo una serie di nuove professioni dedite all’ecosostenibilità. Si tratta di eco-chef, stilisti green, ingegneri di auro ibride, esperti di impianti eolici e fotovoltaici. Secondo l’ILO (International Labour Organization, Organizzazione Internazionale del lavoro, agenzia specializzata dell’ONU), la transizione green potrebbe produrre dai 15 ai 60 milioni di posti di lavoro nei prossimi 20 anni. Tra i nuovi lavori green, meritano menzione il biologo marino che studiando la fauna marina si adopera per la cura della biodiversità; l’ecologo per il funzionamento degli ecosistemi; il veterinario delle specie selvatiche che deve lavorare in un ambiento meno protetto rispetto a quello degli animali domestici.

Infine le professioni legate al benessere personale, alla formazione e comunicazione, tra cui: il forest therapist, esperto in terapia forestale, ovvero di medicina preventiva all’aria aperta; il pedagogista forestale, che attua un principio metodologico per proposte educative nei boschi. Infine, non poteva mancare nel mondo della comunicazione globale, il forest communicator, esperto in comunicazione orientata all’ambito forestale. Questo è lo stato dell’arte dal punto di vista legislativo in ambito green e delle possibilità per il mercato del lavoro. Il problema è se si riesce, soprattutto nel nostro Paese, a rispettare le date entro cui dovrebbero essere realizzato il regolamento europeo. Conoscendo i… nostri polli, il rischio che si sfori è tanto!

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