Tornano gli “attacchini”, che il 29 giugno 2004 hanno raccontato la ribellione dei commercianti contro la mafia. C’è anche una mostra.
Palermo – Vent’anni dopo quei manifesti listati a lutto che hanno fatto scattare la ribellione dei commercianti contro il racket imposto dalla mafia, gli “attacchini” di Addiopizzo tornano in strada per lanciare un nuovo messaggio. All’alba di stamattina, come all’alba del 29 giugno 2004, Palermo si risveglia tappezzata di adesivi. A 20 anni precisi da quella data che ha segnato senza dubbio una svolta nella lotta al pizzo e alle estorsioni, Addiopizzo sceglie le vie del centro di Palermo per aprire una riflessione sull’economia della città e in particolare su determinate zone che hanno vissuto un mutamento: via Maqueda, corso Vittorio Emanuele, via Emerico Amari e via Isidoro La Lumia.
“Luoghi – si legge in una nota di Addiopizzo – dove negli ultimi dieci anni si è registrato un cambiamento urbanistico, produttivo e sociale il cui impatto non ha precedenti nella storia di Palermo. Un mutamento da cui si è generata una nuova ed importante economia che ha il proprio perno nella fruizione turistica dei luoghi del centro storico”. Da qui la domanda impressa sugli adesivi attaccati nella notte appena trascorsa: “Quale economia in via Maqueda? Quale economia in Corso Vittorio Emanuele? Quale economia in via Amari? Quale economia in via La Lumia?”. Una domanda “tutt’altro che retorica” che, spiegano gli attivisti di Addiopizzo, vogliamo “rivolgere e condividere con l’opinione pubblica, il tessuto economico e la classe politica di questa città. Senza pretesa di dare risposte ma con la volontà, anche stavolta, di aprire una riflessione”.
Gli “attacchini” dell’associazione antiracket per il ventesimo anniversario hanno deciso di raccontare attraverso una mostra, “Addiopizzo 20”, la storia e il percorso di cittadinanza attiva, che verrà inaugurata oggi al No Mafia Memorial, in corso Vittorio Emanuele 353. Foto, video,manifesti, disegni e articoli di giornali che testimoniano la rottura di un muro, quello dell’omertà sul pizzo, ma anche il sostegno a commercianti e imprenditori che hanno trovato il coraggio di denunciare, il coinvolgimento dei giovani nelle attività in favore della legalità e di contrasto alla povertà educativa. Fino alla nuova sfida: “Quale economia in via Maqueda, corso Vittorio Emanuele, via Amari e via La Lumia?”.
Quasi vent’anni dopo, per la prima volta due operai hanno testimoniato e si sono costituiti parte civile, assieme al titolare dell’impresa per la quale lavorano ancora adesso. Due operai, due muratori contro gli esattori del pizzo che erano andati a “trovarli” in cantiere. Non certo per una visita di cortesia. Vent’anni dopo quella notte che cambiò la lotta al racket i due dipendenti dell’azienda edile hanno trovato il coraggio di denunciare e anche di prendere parte da protagonisti al processo. Perché da quando l’associazione Addiopizzo disseminò la città di pizzini, bigliettini anonimi che incitavano alla rivolta morale e materiale contro il racket, nella notte tra il 28 e il 29 giugno del 2004, è passato tanto tempo, le coscienze un po’ sono cambiate, il rifiuto dell’imposizione mafiosa si è fatto strada.
Nel 2004 invece le denunce si contavano sulle dita di una mano, non si parlava di estorsioni e – al di là del prezioso lavoro di forze dell’ordine e magistrati – era davvero un caso rarissimo quando qualcuno si faceva avanti per accusare i mafiosi. Fu il destino a cambiare la situazione, nel momento in cui sette giovani decisero di aprire un pub in centro e scoprirono che tra i rischi d’impresa c’era anche l’eventualità di dover pagare una “tassa” a Cosa nostra. Un’amara realtà che, però, diede la spinta per creare il primo embrione di Addiopizzo.
L’idea originaria era di farsi pubblicare una lettera sui quotidiani ma alla fine – in quella notte di esattamente venti anni fa – i fondatori decisero di mettere in atto un’altra provocazione che fece il botto: attaccare adesivi anonimi, senza nemmeno un numero di telefono, vicino ai negozi. La scritta era secca: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Slogan diventato ormai un vero e proprio marchio di fabbrica.