Al di là del problema giudiziario, che sembra risolto, i due congiunti sono rimasti senza lavoro e se non fosse per una piccola pensione e per il reddito di cittadinanza le loro condizioni sarebbero davvero precarie.
Roccamena – Cercava lavoro per il figlio ma è stata denunciata. A distanza di tre anni dall’inizio della vicenda giudiziaria la donna, per altro vedova, ed il figlio sono rimasti disoccupati.
La storia è di quelle incredibili che si stenta a credere e trae origine da una richiesta di assunzione effettuata da Vincenzo Miceli, 28 anni, operatore interculturale, figlio della vedova Dorotea Pirrone di 56 anni, all’allora sindaco del paese Tommaso Ciaccio e al responsabile pro-tempore della cooperativa “Le mani di Francesco” Vincenzo Airò, in data 15 giugno 2018.
Non ricevendo risposta la madre del giovane, in data 20 giugno 2018, scriveva altra missiva intestata al sindaco Ciaccio, al responsabile della cooperativa che si occupa di assistenza ai migranti, ai carabinieri della locale stazione e alla Prefettura di Palermo, descrivendo le proprie condizioni di disagio economico, rivendicando un posto di lavoro per sé e per il figlio e richiedendo i criteri di assunzione posti in essere dalla cooperativa oltre alla lista dei lavoratori dipendenti della citata coop “Le mani di Francesco”.
Non ricevendo risposta la donna, in preda alla disperazione, il 22 giugno 2018 scriveva di nuovo ai citati indirizzi reiterando le richiesta di assunzione presso la medesima cooperativa per sé e per il figlio Vincenzo, invocando trasparenza e richiedendo ancora informazioni sui criteri di assunzione e la lista dei lavoratori dipendenti della cooperativa atteso che, scrive Pirrone: ”…Chi lavora in questa cooperativa – Le mani di Francesco – sono tutti amici e parenti dell’amministrazione comunale guidata da Tommaso Ciaccio…”.
Come accade in questi casi l’unico ente che rispondeva all’accorato appello delle vedova siciliana è stata la Prefettura di Palermo che inviava al sindaco di Roccamena una lettera per “eventuali iniziative di competenza”.
Il sindaco dell’epoca Tommaso Ciaccio, oggi presidente del Consiglio comunale di Roccamena, sporgeva denuncia per calunnia nei riguardi della donna sentendosi leso nell’integrità della propria reputazione e dichiarandosi incompetente per quanto riguarda le assunzioni del personale in seno alla cooperativa che agisce in proprio per quanto attiene l’ingaggio dei lavoratori.
La vicenda diventava davvero kafkiana e una volta svolte le indagini, affidate ai carabinieri e coordinate dal Pm Felice De Benedittis, la Procura di Palermo chiedeva al Gip l’archiviazione del caso perché la vedova non avrebbe attribuito all’ex primo cittadino alcuna responsabilità. Insomma la faccenda finiva in una bolla di sapone ma solo per qualche tempo.
La vicenda infatti veniva “riesumata” e fatta oggetto, addirittura, di interrogazione parlamentare da parte di Alessandro Pagano, deputato siciliano della Lega, che chiedeva al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese una risposta scritta:
”…Diversi anni fa – scriveva l’onorevole Pagano – una donna ha presentato alla Prefettura un esposto per un presunto caso di parentopoli allo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, gestito dalla cooperativa di Roccamena, ndr). La donna è vedova e ha un figlio disoccupato che, in base ai titoli, è uno dei pochi nel paese a poter lavorare nello Sprar in quanto, a quanto consta dell’interrogante, è un mediatore interculturale…
…La signora, esasperata, ha denunciato che all’interno dello Sprar venivano assunti soltanto parenti degli allora amministratori comunali, assessori e consiglieri, oltreché la moglie dell’ex comandante della stazione locale dei Carabinieri, chiedendo chiarimenti alle autorità locali di pubblica sicurezza sui criteri di assunzione in questo Sprar e segnalando alle istituzioni la situazione del figlio perché potessero dare qualche sostegno. Per tutta risposta l’allora sindaco di Roccamena ha denunciato la signora per calunnia…”.
L’interrogazione è rimasta lì come migliaia di altre ma il fatto che lascia l’amaro in bocca è un altro: ”…Dopo tre anni sia io che mio figlio siamo ancora disoccupati – dice Dorotea Pirrone – e se non fosse per una piccola pensione e il reddito di cittadinanza moriremmo di fame. Qualsiasi occupazione onesta ci va bene…”.
Sembra però che sulla presunta parentopoli siano state svolte indagini da parte della polizia di Stato del commissariato di Corleone, coordinate dalla Procura di Termini Imerese. Per saperne di più non rimane altro che aspettare.
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