Adesso che non è ancora finita iniziamo a stilare un primo bilancio di ciò che è stata la nostra esistenza durante l'esilio forzato in casa. Un'occasione per rivedere le regole del gioco e per prospettare il futuro in maniera diversa. Specie nei rapporti con gli altri.
Roma – Un virus ha cambiato senza preavviso la nostra vita. Un mostro che ci ha impaurito e lasciati attoniti difronte ad un evento che solo la fantasia di un regista avrebbe potuto concepire. Un film che potrebbe percorrere le dinamiche intime, nelle varie introspezioni, per capire se veramente vogliamo svegliarci o rimaner intrappolati dentro noi stessi, assorbiti dalle nostre paure e fobie. C’è voglia di riscatto, fame di libertà e di condivisione. Ma non si può abbassare la guardia. Si deve rimanere in una situazione di allerta e di emergenza.
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Siamo rimasti tutti confinati dentro le nostre case, negli spazi delle nostre vite, con margini a volte troppo stretti per ospitare famiglie disabituate alla condivisione. Altre volte troppo larghi per la traversata della vita che desideriamo o che siamo costretti a compiere anche in solitaria. Un virus piccolissimo ha portato via affetti, programmi, sogni. Abbiamo trascorso giorni, mesi, nell’attesa spasmodica di conoscere l’inizio della fine, cercandolo nelle parole della scienza o in quelle confortanti degli uomini e donne di fede che si sono prodigati per sostenere, incoraggiare, e dare fiducia con una parola più sensata di cui avevamo e, forse, abbiamo ancora bisogno: speranza.
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Sì, perché a dispetto di tutti i pronostici e le valutazioni sul nostro tempo, noi esseri umani abbiamo soprattutto bisogno di questo, di sperare e sognare. Sperare di tornare a fare ciò che ci dava sicurezza, tranquillità e gioia, magari rivedendo certi stili di vita e progetti. Senza temere il futuro ed un nuovo percorso.
Qualcuno si è affrettato di ricordarci che il virus ha tagliato in due la nostra vita, tra un prima e un dopo. Scandendo, a chiare lettere, che niente sarà più come prima, un monito che pare una minaccia, un oscuro presagio per il domani. Che ha già il sapore di nostalgia. Invece è solamente un nuovo inizio. Tutto, durante il lockdown, è stato reinventato, riempendo le nostre giornate, svuotate improvvisamente da impegni ed abitudini. Solo qualcuno, spostando la lente del suo interesse da fuori a dentro e da sé all’altro si è accorto del volto di chi gli è sempre vissuto accanto e della propria anima. Gesti, parole, silenzi, evasioni ed percezioni mentali si sono trasformati in conferme ma anche in rivelazioni: belle e brutte. Ci siamo riscoperti, in buona sostanza. L’isolamento ha permesso di conoscere, soprattutto, sé stessi in un percorso difficile e sofferente. Un tracciato che ha scavato ed esplorato la propria anima, il proprio passato, l’oggi. Una vera introspezione che è servita e giova ad andare avanti con maggiore consapevolezza e serenità.
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Qualcuno si è reso anche conto che non c’è nulla di scontato, nemmeno il male che può, da un momento all’altro, divenire pure peggiore. Ma l’assenza del solito avrebbe dovuto ricordarci che siamo figli, compagni, fratelli, sorelle, padri e madri, mariti e mogli. L’assenza della quaotidianità scontata avrebbe dovuto farci scoprire che l’amore è a tempo pieno e che, anche durante una pandemia, il sentimento non si sospende, con tutte le sue fragilità e desideri, e non va in quarantena. Non tutti però alle parole accompagnano i fatti. Ci è stato chiesto di stare distanti da tutti, si può dire tranne che da sé stessi. Come se la vicinanza custodisse il pericolo del contagio e la distanza fosse la misura per proteggerci e tenerci al sicuro. Una barriera che ha aumentato il nostro disagio e le nostre paure ma indispensabile per proteggerci da un ospite indesiderato e improvviso.
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In realtà, più che distanti, abbiamo imparato a vivere lontani, da tutto e da tutti, rifugiati negli angoli delle nostre case per stare connessi con il mondo ma isolati gli uni dagli altri. Collegati virtualmente ma privati dell’intensità di uno sguardo. Tutti con la mascherina, anonimi introvabili ed irriconoscibili. Come “banditi mascherati” che indagano nella luce, ci si muoveva sperando di non essere riconosciuti, nelle proprie fragilità. Avidi ed incapaci di donarsi ed amare. Attraverso la minaccia del contagio che si annida dentro i recinti della nostra vita, rischiamo di rimanere confinati nel nostro io. Allargare le braccia con un semplice gesto di accoglienza rimane un approdo sicuro pieno di speranza. Nell’isolamento a casa tutti hanno avuto la possibilità di apprezzare il valore del silenzio contro i rumori della vita. Ma a volte il silenzio è più assordante di mille rumori, perché denuda il nostro spirito.
Continuare a sentirsi ed essere comunità è importante ed utile per difenderci dal nostro disagio. Nell’imprevedibilità della vita.
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