Matteo Messina Denaro ed il suo apporto alle stragi di Capaci e via D'Amelio. Il progetto di Totò Riina: la sua lunga mano era il boss di Castelvetrano ed altri suoi palafrenieri.
Caltanissetta – La “supercosa” per annientare la “superprocura”. Era il piano di Totò Riina per dare una risposta al giudice Giovanni Falcone a capo del pool di magistrati nato per mettere con le spalle al muro la mafia siciliana. Falcone doveva essere ucciso a Roma per mano di Matteo Messina Denaro. Quell’omicidio doveva avvenire nel ristorante in cui il giudice andava a mangiare, ma poco prima dell’attentato da Palermo arrivò il contrordine. Falcone sarebbe morto lo stesso ma con un attentato che avrebbe fatto clamore.
Il processo al latitante Matteo Messina Denaro in itinere a Caltanissetta, sta facendo emergere nuovi particolari sul rapporto tra Totò Riina e il nuovo capo dei capi e sul ruolo che il boss di Castelvetrano ebbe sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Durante la sua requisitoria il Procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, ha parlato della “supercosa” che doveva essere formata da un gruppo di uomini “valorosi”, i migliori di “cosa nostra”, che avrebbero risposto ai suoi comandi. Ne avrebbero fatto parte Giovanni Brusca, Bagarella, Vincenzo Sinacori, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e altri mafiosi di rilievo.