A Palermo il leader delle toghe denuncia: “c’è una spinta a ridurre i confini dell’azione dei magistrati”. Schifani richiama su imparzialità.
Palermo – Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia, nel suo intervento che ieri ha aperto il 36esimo congresso nazionale dell’Anm in corso al Teatro Massimo di Palermo non poteva non parlarne. Una guerra trita e ritrita che ha tenuto banco per decenni e negli ultimi mesi ha riacceso lo scontro toghe-politica. La spinosa separazione delle carriere. Santalucia ne è sicuro, una riforma che indebolirà le toghe. “L’indebolimento troverà compimento – ha detto davanti alla platea di magistrati, politici e rappresentanti istituzionali – una volta che il pubblico ministero, separato dalla giurisdizione e collocato in un ideale ma ad oggi sconosciuto spazio di autonomia e di contestuale estraneità all’area dei tradizionali poteri dello Stato, sarà in breve attratto nel raggio di influenza del potere esecutivo, che mal tollera di non poter includere l’azione penale nei programmi di governo”.
“Proprio perché – prosegue parlando di fronte a oltre mille magistrati a raccolta – molte democrazie occidentali conoscono la dipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo, sterilizzata nei suoi effetti distorsivi, nella maggior parte dei casi, da culture politiche e architetture istituzionali proprie di quei Paesi, la parabola di un riassetto istituzionale innescato dalla revisione costituzionale non sarà condizionabile nella sua traiettoria dalle dichiarazioni di chi oggi, alfiere della separazione, assicura e rassicura sulla piena indipendenza del pubblico ministero di domani”, incalza il leader di Anm. Al Congresso c’è anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto da una lunga standing ovation.
Prima dell’inizio dell’evento Santalucia aveva partecipato a una cerimonia al “bunkerino”, l’ufficio che ospitò i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino all’interno del palazzo di giustizia di Palermo. “Due modelli, Falcone e Borsellino, a cui tutti noi magistrati dobbiamo tendere. Ma vogliamo anche – dice il presidente dei magistrati – far ricordare all’esterno cosa è stata e cosa è la magistratura, presidio di legalità, di tutela dei diritti e delle garanzie, che deve essere preservata come bene comune e essenziale per la collettività intera”. Il tema del congresso è “Magistratura e legge, tra imparzialità e interpretazione”.
Ed è il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, nel suo intervento a puntare sulla imparzialità del magistrato, e quindi non solo quella del giudice, che, dice “non è soltanto un principio, che diviene dovere puntuale inerente la singola posizione istituzionale, ma è soprattutto un imprescindibile valore etico. Un valore immanente per la figura del magistrato nell’esercizio della giurisdizione che si estende alla proiezione esterna, all’immagine di imparzialità, la cosiddetta neutralità dell’apparenza, che è garanzia di imparzialità per chi è giudicato e che si intreccia con l’esercizio di diritti e libertà fondamentali”.
“Questo richiede ad ogni magistrato di impegnarsi a superare i pregiudizi culturali che lo possono condizionare e ad assicurare e garantire la sua immagine di imparzialità – ha proseguito Schifani – L’essere imparziale va così declinato in relazione al concreto processo, mentre l’apparire imparziale costituisce, piuttosto, un valore immanente alla posizione istituzionale del magistrato, indispensabile per legittimare, presso la pubblica opinione, l’esercizio della giurisdizione come funzione sovrana: l’essere magistrato implica, sotto tale profilo ed in termini sostanziali, una immagine pubblica di imparzialità”.
Ma Santalucia denuncia come si colga “in più occasioni una spinta alla ridefinizione in senso restrittivo dei confini entro cui la giurisdizione può esprimersi e può far uso degli strumenti propri del suo agire. L’idea sottesa a più critiche è che progressivamente essa abbia accresciuto il proprio ruolo, finendo con l’essere, invece che fattore di stabilizzazione e di ordinata risoluzione dei conflitti, causa o concausa di quella instabilità e precarietà di necessari equilibri che segnano la società nel tempo presente”. Il leader di Anm “si denuncia l’espansione del potere giudiziario, collegandolo più o meno dichiaratamente ad una pretesa egemonica della magistratura, che sperimenterebbe da tempo una libertà di azione conquistata a scapito della legge”.
“Si trascura però di considerare – attacca – che l’enfatizzazione del giudiziario potrebbe essere in buona misura figlia della incapacità della politica latamente intesa, che è propria del nostro tempo, di coinvolgere e di includere ampi strati della società nella definizione di progetti collettivi per la realizzazione di fini comuni e condivisi“. E per essere più chiaro, “se i circuiti della politica – ha concluso – hanno perso gran parte della loro capacità inclusiva, se l’impegno collettivo per la costruzione del futuro della comunità non è più un potente fattore di aggregazione, è inevitabile che ci si ritragga sempre più in una dimensione privata, che si ricerchino nelle aule di giustizia le risposte alle domande che nei luoghi tradizionali dell’agire politico non si riesce più a formulare”.
Sullo scontro politica-toghe interviene anche il vice ministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto che fa notare come “per collocare interesse generale al di sopra di quelli particolari, vi è una sola è unica via: il
dialogo. La giustizia non deve essere terreno di scontro ma di contraddittorio tendente alla conciliazione. Tutto questo è possibile solo se rimane intatto il dna che l’articolo 104 riconosce a tutta la magistratura: autonomia e indipendenza. Nessuno potrà mai nemmeno immaginare, è nel pieno convincimento di questo
governo, che possa esserci – conclude – un disconoscimento di paternità rispetto a tali inviolabili prerogative. Il processo riformatore in corso si colloca esattamente nel solco di quanto indicato nella nostra Carta”.