Sembra che nessuno l’abbia compreso a Roma: è sempre un prestito e gli interessi, come si dice, non te li regala nessuno. Men che meno l’Europa che cerca di vendersi a buon prezzo per poi riscuotere dieci volte tanto. Nel frattempo la disoccupazione sale ma l’UE da quest’orecchio non ci sente.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. La propaganda del Consiglio europeo questa volta si concentra su una delle ferite più profonde prodotte dalla pandemia: la disoccupazione. Gli ambasciatori distaccati presso l’Ue hanno raggiunto un accordo politico in merito a SURE. Il documento parla di un regime temporaneo in grado di fornire agli Stati membri fino a 100 miliardi di euro a prestito e a condizioni favorevoli. Lo strumento dovrebbe tutelare chi ha subito regimi di riduzione dell’orario lavorativo, sia per quanto concerne gli autonomi che i dipendenti. Il pacchetto che entrerà in vigore il prossimo 1° giugno fa parte insieme al Mes e al BEI di quella rete conosciuta come Pacchetto Sicurezza:
“…La pandemia di Covid-19 – ha dichiarato Zdravko Marić, vice premier e ministro delle Finanze della Croazia – costituisce una sfida eccezionale per l’Europa in quanto mette a rischio la vita e i mezzi di sussistenza di numerose persone. Al di là delle implicazioni per la salute pubblica, la pandemia ha anche causato enormi perturbazioni economiche e sociali, obbligando molte imprese a ricorrere al sostegno pubblico per salvaguardare l’occupazione. SURE sarà una rete di sicurezza vitale per proteggere i posti di lavoro e i lavoratori, in quanto garantisce che gli Stati membri dispongano dei mezzi necessari per finanziare misure di lotta contro la disoccupazione e la perdita di reddito, nonché alcune misure nel settore sanitario…”.
Come per le altre misure del pacchetto, però, anche in questo caso si parla di veri e propri prestiti non di linee di credito a fondo perduto. Per tale ragione non è errato sottolineare come nuovamente il peso principale ricadrà sulle casse nazionali che nei prossimi mesi saranno costrette e ripagare con gli interessi tali strumenti. Infatti, per fornire agli Stati membri richiedenti assistenza finanziaria a condizioni favorevoli, la Commissione raccoglierà fondi sui mercati internazionali dei capitali per conto dell’UE. Inoltre i prestiti concessi a titolo di SURE saranno sostenuti dal bilancio dell’UE e dalle garanzie fornite dagli Stati membri in funzione della loro quota nell’RNL (Reddito Nazionale Lordo). Le garanzie che ogni Stato dovrà fornire sono state calcolate su una base di 25 miliardi.
Non solo, per accedere al piano d’aiuti straordinario, il documento del Consiglio sottolinea chiaramente le intenzioni “…L’assistenza finanziaria sarà concessa mediante una decisione adottata dal Consiglio su proposta della Commissione…”. Sostanzialmente tale passaggio implica che prima di concordare l’importo da erogare, il bilancio dello Stato dovrà essere monitorato e le modalità di restituzione previamente concordate. In altre parole si tratta di un prestito a tutti gli effetti, che ben poco somiglia a un fondo d’assistenza.
Le domande dunque rimangono sempre le stesse: come verrà pagato il debito se il mercato del lavoro e dei consumi non si sblocca? Se ci sono ancora migliaia d’italiani che non hanno avuto accesso alla cassa integrazione?
A questi dubbi, però, l’Unione Europea non sembra formalmente tenuta a rispondere e infatti non lo fa. Le strade che si aprono nel prossimo futuro sono principalmente due: accettare il prestito e aumentare il debito pubblico e l’indebitamento privato o rifiutare il SURE e intraprendere una strada di progressiva rottura verso i vincoli del Patto di stabilità pretendendo da Bruxelles delle misure con non contemplino l’austerity.
Anche perché, come ha recentemente dichiarato l’Oms, la salute mentale sembrerebbe a rischio come quella fisica. L’isolamento e la paura dell’incertezza economica avrebbero causato delle forti sofferenze psicologiche che avrebbero diffuso nelle persone un progressivo nichilismo. Questo potrebbe avere anche delle forti ripercussioni sul mondo del lavoro, come una crescente sfiducia nella possibilità di trovare una nuova occupazione.