Troppi cadaveri ignoti sulle spiagge siciliane. Come sono morti e in quali circostanze? Hanno finalmente un nome dopo mesi di indagini? Nessuno cerca quelle povere spoglie restituite dal Mediterraneo? Silenzi assordanti.
Tre cadaveri senza un nome. E nessuno li cerca. È un mistero che, di certo, farebbe gola al compianto Andrea Camilleri che di storie sul mare Mediterraneo ne ha raccontate un bel po’. Insomma, pane per i denti del Commissario Salvo Montalbano. Questo però non è un film, anche se i luoghi sono quelli tanto amati da Alberto Sironi. Il 22 giugno del 2019, a circa 14 miglia dalla costa ragusana, tra Pozzallo e Marina di Ragusa, veniva recuperato il corpo di un uomo in evidente stato di decomposizione. Dai primi rilievi antropometrici e biologici effettuati si accertavano le fattezze di una persona caucasica di circa 60 anni. Sin dal primo momento gli inquirenti escludevano che si potesse trattare di un migrante deceduto nel corso di una traversata per raggiungere la costa iblea. “…Maggiori dettagli – commentavano gli inquirenti all’epoca dei fatti – potranno essere resi noti dopo l’autopsia…”.
Poco più di una settimana dopo, da Gela, giungeva la notizia della scoperta, sulla spiaggia di contrada Roccazzelle, di un altro cadavere destinato, anche questo, a rimanere anonimo. È esattamente il primo di luglio. Dai rilievi scientifici anche questo cadavere era riconducibile ad un uomo senza testa, senza gambe e con un solo braccio. La vittima indossava un giubbotto nero con cappuccio ed era in avanzato stato di decomposizione. La procura di Gela affidava le indagini ai carabinieri del comando territoriale. In questo caso gli inquirenti non escludevano che si potesse trattare di un migrante vittima di naufragio.
L’ultimo ritrovamento misterioso nelle coste ragusane risale invece al 15 novembre quando, nella spiaggia di Scoglitti, frazione di Vittoria, veniva rinvenuto il cadavere che sembra essere quello di una donna. Il corpo è irriconoscibile, ridotto ad uno scheletro in cattive condizioni, segno inequivocabile dell’erosione marina operata sulla salma rimasta in acqua per troppo tempo. Unitamente allo scheletro veniva repertato un giubbotto blu con etichette di colore rosso cucite su una manica. Anche in questo caso gli investigatori non escludevano che potesse trattarsi di una migrante.
Dopo due mesi nessuna notizia delle indagini sui primi due cadaveri rinvenuti in mare. Dalle procure il silenzio più assoluto. Per saperne di più, prima del ritrovamento di novembre, spedivamo una mail, datata 22 agosto, alla procura della Repubblica di Ragusa per chiedere ulteriori informazioni. Il 28 successivo facevamo la stessa cosa con la procura di Gela. A quelle richieste di ragguagli per iscritto seguivano anche diverse telefonate che cadevano nel vuoto. Avremmo voluto sapere se i due cadaveri, nel frattempo, avessero avuto un nome e se, considerata la coincidenza temporale e la relativa vicinanza delle coste, gli inquirenti sospettassero un collegamento tra il ritrovamento di Ragusa e quello di Gela. Alle nostre domande non è mai stata data risposta. Qualcuno ha mai denunciato la scomparsa di quelle sfortunate persone? Quali sono state le cause del decesso? E in quali circostanze? Perché nessuno cerca quelle persone? Nessuno rivendica quei poveri resti umani? Sono domande alle quali, di certo, non è semplice dare una risposta. Ma se, nel corso degli anni, abbiamo assistito senza muovere un dito al triste fenomeno del Mediterraneo che restituisce corpi di migranti che nessuno cercherà mai, appare ancora più strano che il Mare Nostrum restituisca anche cadaveri di individui caucasici. Davvero strano. A questo punto una domanda sorge spontanea: quali loschi traffici si nascondono dietro quelle morti?
Si pensi, ad esempio a ciò che è avvenuto nella parte occidentale della Sicilia tra dicembre e gennaio scorsi con diversi cadaveri restituiti dal mare tra il palermitano e il messinese. I due indossavano la tuta da sub e avevano vistosi tatuaggi che il procuratore di Termini Imerese Ambrogio Cartosio ha deciso di mostrare nella speranza che qualcuno potesse riconoscerli. A questi si aggiunge il rinvenimento di altri due cadaveri in mare: uno il 14 dicembre nel porto di Messina e l’altro il 20 gennaio a Licata, in provincia di Agrigento. Tragedie su cui indagano ben cinque procure. Il giallo si è reso ancora più fitto dal ritrovamento, nello stesso periodo, sempre nelle spiagge siciliane, di circa 170 chili di stupefacenti. Gli inquirenti hanno sposato sin da subito l’ipotesi di una nave carica di droga affondata nel canale di Sicilia ma le indagini non sono ancora giunte a fatti concreti.
Al di là delle storie di Camilleri e del suo Montalbano un fatto è certo: tra la Quarta Sponda e la Sicilia sembrerebbero ormai scontati traffici di esseri umani e un fitto via vai di corrieri della droga. Un caso su tutti: il sequestro, nel maggio del 2019, di 5 tonnellate di hashish, per un valore di 50 milioni di euro, trasportate su una barca a vela attraverso il canale di Sicilia. E non sarebbe un episodio isolato.