Il flop in Lombardia riguarda soprattutto le case di riposo e alcuni centri di terapia intensiva ma altri reparti hanno tenuto benissimo il pesantissimo urto dei contagiati malati. Il Sistema sanitario italiano è da rivedere al più presto.
La pandemia da coronavirus rivela, in Italia, come il sistema sanitario stia reggendo, nonostante la fragilità di un servizio trascurato da ogni governo. Si continuano a mantenere prestazioni essenziali di alta qualità per tutti, ma adesso è tempo di riorganizzare l’intero sistema, a livello regionale, con una serie di interventi per migliorare l’efficienza dell’offerta sanitaria pubblica, da troppo tempo trascurata.
Il COVID-19 sta evidenziando le efficienze e le disfunzioni delle attuali strutture sanitarie e per questi motivi è necessario invertire la tendenza e non assimilare il settore medico a qualunque altro lavoro, misurandone costi, effetti e soddisfazione del paziente. Infatti se il rapporto medico-paziente è diventato quello tra operatore e cliente, se la sanità è “dare il massimo dei servizi con la minima spesa”, se gli ospedali si sono trasformati in “aziende”, è naturale che scattino la diffidenza, l’insoddisfazione e l’intolleranza.
Adesso è avvenuto l’impensabile: si è ricostituito, tra medico e paziente, un rapporto di fiducia. Attraverso la paura del coronavirus, la gente che si è sentita sola e impaurita ha visto che le figure di riferimento sono i medici e gli operatori sanitari ma non in quanto tali, bensì perché “persone” che l’immaginario collettivo identifica come eroi poiché hanno a cuore l’interesse degli individui.
Una riflessione, pertanto, sul sistema sanitario nazionale si impone: in Italia la parola “pubblico” coincide spesso con “mal gestito” e così la mente vaga verso quei Paesi, come gli Stati Uniti, in cui gli ospedali si distinguono per efficienza e per le eccellenze della medicina, basati, però, su un sistema privatistico. Per ricevere prestazioni mediche in America bisogna avere stipulato una polizza con una compagnia assicurativa. Da rilevare, poi, che il paziente statunitense deve anticipare quanto fatturato da medici e ospedali in attesa che l’assicurazione provveda al rimborso.
Pertanto, attenzione quando si decanta la sanità americana. La crisi innescata dal COVID-19 sta mettendo a dura prova, in Italia, l’efficacia e la tenuta della sanità pubblica, la sua resilienza, la capacità del sistema di adattarsi efficacemente a uno shock o a un cambiamento improvvisi. Lo stupore e lo stordimento collettivo per quanto accaduto è ancora molto forte, nonostante le contraddizioni di un sistema politico, che da un lato continua a “sfornare”, come antidoto, ordinanze e divieti, mentre dal versante dell’opposizione, lancia solo anatemi e critiche. È opportuno ricordare che il sistema sanitario nazionale italiano è stato istituito nel 1978 e si è basato, fin dalla sua nascita, su due principi fondamentali: l’universalità (ossia l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione) e l’uguaglianza, l’accesso per tutti in relazione a uguali bisogni. Per garantire, però, standard di qualità elevati, è necessaria una politica economica sanitaria che investa maggiormente nel pubblico, non solo l’8,8% del PIL (come nel 2018).
Secondo l’OCSE, la percentuale scende addirittura al 6,5% se si considera la spesa sanitaria finanziata solo con fondi pubblici. Ecco così le due facce del sistema: da un lato il medico “eroe”, che rischia per gli altri con abnegazione e determinazione, per salvare da un virus estremamente contagioso e pericoloso, dall’altro invece le strutture regionali della sanità i cui conti non tornano.