Gli interessi del profitto sono stati posti davanti a quelli della salute pubblica. Nell’incertezza del futuro soltanto scaramucce fra governo e opposizione. Conte, Salvini e Meloni, sostanzialmente, sono facce diverse di una medesima medaglia.
Lo avevamo detto da queste colonne: la tragicommedia politica è entrata nel vivo. Mentre tutta l’Italia assiste allo scontro tra il premier Conte e il duo Salvini-Meloni, la trasformazione del Bel Paese sta lentamente prendendo forma. Che usciremo diversi dalla pandemia non è più un segreto. La contenzione forzata ci costringe a fare i conti con le intimità più remote di noi stessi. La solitudine, a volte, diventa così opprimente che sembra possa troncare il respiro. Inoltre la paura per la lenta ripresa dell’economia, ormai, sembra abbia spazzato via con un movimento repentino quel sentimento di positività che si innalzava dai balconi ogni giorno intorno alle 18. La diffidenza sociale è sempre più percepibile. Sembra di essere stati catapultati nel concetto di sorveglianza di Foucault. Un panottico perenne con i cittadini che, vuoi per noia o per distorsione mediatica, si innalzano a guardiani, giudicando dalle finestre ciò che è giusto e ciò che non lo è.
A fare paura non è soltanto la lunga coda davanti ai supermercati, piuttosto quella tetra sensazione che si percepisce, a metà tra rancore e impotenza. Ed è proprio quest’ultima che si sta trasformando nella migliore arma a disposizione per governo e opposizione. I cittadini aspettano risposte. Si sa, quando qualcuno è impaurito è più docile e maggiormente recettivo. Ed è proprio in questo contesto, mentre l’Italia intera assiste al fantomatico scontro tra Conte e Salvini come se fosse la finale di Coppa del Mondo, lentamente inizia a prospettarsi una fase due della crisi pandemica, una zona d’ombra dove le istituzioni e le grandi aziende potranno compiere un esperimento sociale mai visto prima.
Sebbene in questo momento le luci siano tutte puntate sul Mes, esso non rappresenta l’unico strumento esistente per esercitare una maggiore sudditanza al sistema bancario. Conte ha detto che l’Italia non ha bisogno del Mes, bene. Ma allo stesso tempo il premier è la stessa persona che non si è opposta alla promulgazione del decreto Sicurezza bis, tanto caro a Salvini, contenente una serie di clausole che di fatto mozzano il diritto allo sciopero da parte dei cittadini e li rendono più soggetti a denunce e fermi. Salvini, da parte sua, proprio in queste ore si è scagliato contro la tassa patrimoniale proposta del PD, probabilmente ritenendo di somigliare vagamente a un partito di sinistra.
Proprio il leader della Lega si è schierato apertamente contro il prelievo sui grandi patrimoni e contro l’incremento di tassazione per i monopoli dell’e-commerce o della distribuzione che, in queste settimane, stanno facendo incassi d’oro. Insomma per Salvini non è necessario attuare nessuna misura che vada a discapito del grande capitale. Questo ragionamento, però, non può che risuonare contraddittorio specie per quelle fasce di popolazioni che l’ex ministro degli Interni pretende di tutelare. Perché diciamolo, la retorica del “siamo tutti sulla stessa barca” continua a imbarcare acqua da tutte le parti. La maggior parte dei cittadini italiani, in generale europei, non posta video elogiativi, come ultimamente ha fatto Urbano Cairo celebrando l’aumento di fatturato e la positività del momento. La maggior parte dei cittadini teme di non poter più tornare al lavoro, di dover chiudere in maniera permanente la saracinesca o di vedersi tassata ancora di più la pensione. Ancora una volta la Lega, con la Meloni a seguire, si è schierata al fianco dei grandi industriali protesi come sempre alla massimizzazione del profitto. E Conte? Se a rigor di logica lo scontro parlamentare tra maggioranza e opposizione si basa su due ideologie differenti, il Premier si sarebbe dovuto schierare a favore di tali norme. La realtà dei fatti ci mostra il contrario. Tramite un audace mossa mediatica, Conte sta facendo il gioco delle destre, accentrando tutta l’attenzione su sé stesso ed etichettando chiunque si schieri contro di lui come “traditore” della Patria.
Una situazione che ricorda vagamente quanto accaduto in Grecia sotto il governo Tsipras. La task force designata dal governo per la “Fase 2” è composta da grandi nomi dell’economia più o meno vicini ai percorsi di privatizzazione statale. A dirigere questa squadra sarà Vittorio Colao, ex amministratore delegato per diverse grandi aziende e multinazionali tra le quali spicca la Vodafone, tristemente nota in questi ultimi anni per le campagne di esuberi scaturite nei confronti dei lavoratori. I suoi più grandi successi sono sempre stati legati a forti speculazioni, come la vendita per 130 miliardi della partecipazione in Verizon o i forti investimenti (con delocalizzazioni poste in essere) in India. Colao non ha mai nascosto la sua predilezione per gli approcci neoliberisti sul mercato. Nel 2015, ad esempio, difese a spada tratta le riforme del lavoro attuate da Matteo Renzi:“… C’è che l’Italia ha cominciato a cambiare – aveva detto Colao -, il Jobs Act, ad esempio, sta creando nuovi posti di lavoro…”.
Le ripercussioni di tali riforme ormai sono chiare a tutti. In particolar modo a chi il lavoro l’ha perso per via del Jobs Act. Ma allora se le cose stanno cosi a quale categoria di lavoratori è convenuto il Jobs Act? Probabilmente non per quelle classi sociali che ogni mattina si svegliano alle 6 per andare a lavorare senza la sicurezza di un contratto a tempo indeterminato. Il manager bresciano, ex bocconiano, non ha mai nascosto il suo vero progetto. Nella medesima intervista rilasciata a La Repubblica nel 2015 in merito alle politiche interne italiane Colao era stato chiaro:
“…Abbiamo ancora alcune cose che storicamente non sono molto efficienti – disse il manager – come la pubblica amministrazione e la lentezza sulle privatizzazioni…”.
Un dubbio è d’obbligo: quale sarà ora la strategia che impartirà alla task force per trascinare l’Italia fuori dalla crisi? Andiamo verso un periodo di privatizzazioni che poggerà sulla completa erosione dello stato sociale come elemento necessario per riempire le casse dello Stato? La lezione del Coronavirus ci è servita o no?
Insomma, la sfuriata televisiva di Conte contro Salvini e Meloni è sembrata più un diversivo che altro. L’ipocrisia che spesso muove la politica sembra aver toccato l’apice ancora una volta. Maggioranza e opposizione, per quanto si sfidino a colpi di recriminazioni ed accuse, almeno sotto il profilo della politica economica, non sembrano molto distanti. Nel frattempo Gran parte degli industriali invocano Mario Draghi come prossimo premier per l’Italia. Chi sa come mai. Una cosa al momento appare certa, Mes o non Mes, la salute dell’industria sembra sia stata posta nuovamente davanti a quella dei cittadini. Mentre noi assistiamo allo scontro titanico tra opposizione e maggioranza certi privati potrebbero iniziare a fregarsi le mani.