Medico, cantautore, poeta e figlio d’arte, dal rap giovanile alla musica per intensità
Luciano Panama, musicista autore, nato e cresciuto a Messina, è anche medico a Milano, una formula che nella tradizione cantautorale italiana ci rimanda al celebre e compianto Enzo Jannacci, ma anche a Mimmo Locasciulli e perché no a Goran Kuzminac.
Fare il cantautore significa avere una responsabilità, si scrivono canzoni per mandare un messaggio, per essere portavoce di una storia importante. Non è facile, oggi, fare l’autore, in un mondo in cui le canzoni ormai si scrivono a “tavolino” e il cantautorato è destinato a scomparire; bisogna avere una forte vena creativa, forti stimoli esterni, cose da dire. Lui di cose da dire ne ha tante ed è capace di trasmetterle, di far sentire tutte le emozioni e i problemi di cui parla nei testi. Ci si immedesima, si sente propria la canzone che si sta ascoltando. Il suo è il vissuto di ragazzo siciliano comune ai tanti, troppi, ragazzi meridionali che, con una laurea in tasca, scelgono di abbandonare una terra che non ha più niente da offrire oltre alla bellezza e al clima. Le storie che racconta sono spaccati di vita vissuta, di amicizie coltivate, di letture impegnate o immaginazioni oniriche.
Luciano (classe 1980), inizia a studiare sin da giovane, da autodidatta, chitarra, basso, pianoforte e, successivamente, batteria, appassionato dal rock inglese e americano e dai cantautori italiani. Nel 2000, dopo diverse esperienze, crea gli Entourage – Enter In Our Age, compone testi e musica e inizia a cantare. L’esperienza con gli Entourage dura oltre un decennio, la band pubblica diversi album e partecipa con successo a numerosi concorsi e ottiene buone recensioni dalla critica. Nel 2015, Panama avvia un nuovo progetto da solista che lo vede oggi impegnato con dei live con voce, chitarra e piano, e in studio per la registrazione di nuove canzoni.
Piramidi è il nome del suo album d’esordio da solista, prodotto da lui stesso, pubblicato da La Dura Madre DISCHI – Dimora Record, distribuito da Master Music. Otto inediti, che l’autore ha interamente composto e in cui, da buon polistrumentista, ha suonato tutti gli strumenti a eccezione di due collaborazioni: Giovanni Alibrandi al violino e Matteo Frisenna alla tromba. I brani sono stati registrati nello studio che Luciano ha creato in Sicilia.
Messina guerra e amore, contenuta nell’album, è una ballata elegante e profonda dedicata alla sua città, che non si è mai davvero risollevata dopo il terremoto del 1908 e, oggi, ulteriormente impoverita dall’emorragia demografica. Una città che perde forze produttive senza che venga garantito il ricambio generazionale. Il videoclip, presentato in anteprima a Rai 3, è stato interamente girato a Messina, con regia e montaggio firmati dallo stesso Panama.
Abbiamo intervistato Luciano Panama per farlo conoscere ai nostri lettori, non solo musicalmente.
Come nasce la tua passione per la musica e quando hai capito che ti sarebbe piaciuto creare qualcosa di tuo?
“La mia passione per la musica nasce sin da bambino. Ho avuto la fortuna di avere un padre, anche lui medico, appassionato di musica, che suonava diversi strumenti. È stato il mio primo maestro, colui che mi ha insegnato i primi accordi e i primi rudimenti con gli strumenti che avevamo in casa. Con mio padre ho suonato nel periodo dell’infanzia, poi ho cercato la mia strada, ho capito che volevo scrivere per liberarmi di alcuni pensieri. Le prime canzoni che ho composto a 15 anni erano rap perché, a quell’età, amando la poesia mi piacevano le rime. In seguito, ho capito che quella non era la mia strada e che avevo bisogno di allargare i miei orizzonti, guardare oltre, anche usando la fantasia. Pian piano ho cercato un mio modo di scrivere”.
Quali sono state tue influenze musicali, c’è stato un disco illuminante?
“Mi sono sempre ispirato ai grandi cantautori italiani: Fossati, Tenco e tutta la Scuola Genovese, Battiato, Battisti, De Gregori, Piero Ciampi, che è stato un artista con una vita fuori dagli schemi e dalle convenzioni, ma anche musicisti legati al mondo del Rock come la P.F.M. Dopo una certa età non ho più ascoltato musica italiana, quasi un rifiuto, e ho cominciato ad ascoltare solo musica straniera, i cantautori – Bob Dylan, Neil Young – e le grandi band americane: Pink Floyd, Led Zeppelin, Rolling Stones, Nirvana. C’è stato anche un periodo in cui ho amato il noise rock e un gruppo in particolare i Sonic Youth. Durante l’adolescenza un disco che mi ha preso tanto è stato Nevermind dei Nirvana e Tabula rasa elettrificata dei Csi. Poi, successivamente Anima latina di Lucio Battisti e On the beach di Neil Young”.
Come preferisci suddividere la musica: per genere o per le emozioni che suscita?
“In realtà non suddivido la musica per genere, ma per intensità. Per me è importante il motivo per cui un artista fa musica, qual è l’elemento distintivo, il significato delle sue canzoni. Certo, la mia esperienza principalmente viene dal rock, anche quello alternativo, un po’ underground, se così possiamo chiamarlo, però io non amo ingabbiare i generi musicali, né essere a mia volta circoscritto in un genere o in dei parametri. Al contrario, io amo vestire le canzoni, a seconda della situazione. Per questo, ad esempio, suono, in live con una band, un rock più duro, con un sound più aggressivo, ma faccio anche un live da solo con la chitarra acustica o con il piano, con il violino o il violoncello. Tipi di atmosfera molto diversi uno dall’altro, ma con un unico comun denominatore, l’intensità. Però capisco che, in un modo o nell’altro, la musica vada divisa in generi, per inserire un artista in un ambito comprensibile al grande pubblico. Anch’io quando avevo vent’anni volevo essere catalogato, ma poi mi sono affrancato da questa necessità e adesso, anziché fare l’attore di un genere musicale, preferirei essere immaginato, descritto e apprezzato per ciò che faccio e per la forza e il valore della mia musica”.
Qual è la maggior fonte di ispirazione per i tuoi testi?
“A me piace tantissimo parlare di vita vissuta, quindi delle esperienze che faccio. Io sono stato tanto tempo in strada con la chitarra, sono un cantautore, un musicista più che altro, e forse anche uno scrittore, da strada. Proprio la strada mi ha insegnato tanto e da lì attingo per la mia scrittura; però, sono anche una persona a cui piace raccontare delle storie familiari o che riguardano i miei amici. Uso molto anche la fantasia e l’immaginazione, quindi il mio testo, sia che parli di politica, del sociale o che sia ludico, non ha una fonte unica di ispirazione. Inoltre, una cosa che amo in particolare è leggere poesie, quindi i miei testi, anche inconsciamente, sono influenzati da questa mia passione. Per adesso sto leggendo Dylan Thomas, ma sono tantissimi i poeti che ho letto, uno degli ultimi è Franco Arminio, il cui libro compare anche nel mio ultimo videoclip”.
Piramidi è il tuo primo album da solista, quale canzone è piaciuta di più al pubblico e quale canzone, invece, piace di più a te?
“In verità, non ho ancora individuato una canzone che sia piaciuta di più al pubblico, anche se in molti mi hanno parlato di Le ossa, qualcun altro di Ti solleverò, altri ancora di Man. Se guardiamo le visualizzazioni, quella che ne ha di più è proprio Le ossa, anche perché è stata la prima che di cui è stato pubblicato il videoclip. La mia preferita è Messina guerra e amore, perché credo che sia veramente un pezzo molto significativo e anche se parlo di Messina è come se parlassi di qualunque altra città del Sud. Il brano racconta un aspetto del sud Italia: la staticità. Purtroppo non ci sono tantissime attività culturali e quindi si rimane fermi per anni e anni senza riuscire a far decollare nulla. Almeno per il momento è la canzone che preferisco anche perché, sulla copertina del disco, c’è uno skyline della città di Panama con il porto, io amo i porti e porto il cognome di una città. Italo Calvino ne Le città invisibili diceva: ‘Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici’. Questa sicuramente è la chiave di lettura del mio disco, e avendo curato tutti gli aspetti del videoclip – scrittura, regia e montaggio – lo sento ancora più mio.
Se uno volesse ascoltare il tuo disco come lo descriveresti?
“Descrivere il proprio disco è sempre un po’ difficile. Con la band Entourage, l’altro mio progetto, oltre a questo da solista, abbiamo sempre descritto la nostra musica come se fosse prismatica, per scherzare tra di noi, parlavamo di rock prismatico. Infatti, il nostro secondo album si chiama Prisma, e il terzo Vivendo colore, proprio perché, in un modo o nell’altro, noi abbiamo sempre ricercato varie sfaccettature. Piramidi io lo definirei un album che fonda le sue radici nel rock sia quello più classico sia quello sperimentale, alternativo, e in alcuni casi anche nel punk africano, a cui aggiungerei quello dei cantautori classici, che cercavano di raccontare con i loro i testi storie di vita vissuta. Mi piacerebbe riuscire a trasferire, in chi ascolta, un’esperienza che serva a crescere, in qualche modo”.
Quanto è difficile in Italia crescere artisticamente e farsi notare nel campo musicale?
“È importante, per prima cosa, trovare un modo personale di crescere, cioè bisogna capire che tipo di canzoni si vuole scrivere, quale strada si voglia intraprendere e porsi degli obiettivi. Poi bisogna riuscire a frequentare “i posti giusti”, trovare il linguaggio adatto e farsi notare. Chiaramente si deve vivere o trasferirsi in una città dove c’è fermento culturale, dove si possono avere maggiori opportunità. Lo spazio riservato ai giovani emergenti non è molto, è difficile avere visibilità, farsi conoscere e anche farsi ascoltare oltre il proprio circuito locale e gli standard prestabiliti. Io non cerco disperatamente di impormi a tutti i costi, sto facendo il mio percorso, cerco di crescere musicalmente, ma è una strada tutta in salita”.
Artista e medico o medico e artista? Cosa ti senti di più e quale sfera della tua vita ha condizionato l’altra?
“Quando a 18 anni mi sono iscritto all’università, pensavo di fare solo il medico; scrivevo già delle canzoni ma pensavo che la musica sarebbe stata una semplice passione che sarebbe stata messa poi da parte una volta iniziato a lavorare, anche perché la mia città non offriva nulla dal punto di vista musicale. Invece, crescendo, è successo l’esatto contrario. Mi sono laureato, ho fatto delle esperienze lavorative e ho sentito la necessità e l’urgenza di dare sfogo alla mia creatività musicale. Non so se riuscirò mai a staccarmi dalla medicina, che mi ha dato, e mi dà, indipendenza economica, ma oggi sto provando a fare il musicista con più serietà e credo di stare facendo un buon percorso”.
Quali sono i tuoi progetti futuri, hai qualche sogno nel cassetto?
“Il mio progetto è far sì che niente o nessuno possa interrompere il mio cammino musicale, questo è prioritario per me. Nel futuro immediato, uscirà presto un nuovo album che ho scritto e che sto registrando. E poi continuo a fare concerti live e a farmi conoscere con interviste in varie radio. Tornerò presto anche nella mia Messina, perché ho dei progetti per cercare di farla uscire dalla staticità e riuscire a migliorarla sotto vari aspetti”.