UNA NUOVA OPERAZIONE CONDOR PER L’AMERICA LATINA?

Mentre in Bolivia l’esercito costringeva Evo Morales, il presidente legittimo, alle dimissioni e alla fuga, sulla prima pagina dei maggiori quotidiani italiani veniva data la notizia del grave ferimento di un manifestante da parte della polizia a Hong Kong.

Mentre in Bolivia l’esercito costringeva Evo Morales, il presidente legittimo, alle dimissioni e alla fuga, sulla prima pagina dei maggiori quotidiani italiani veniva data la notizia del grave ferimento di un manifestante da parte della polizia a Hong Kong. La stampa italiana non è nuova a scelte di dubbia natura riguardo a come raccontare l’attualità, ma nelle vicende degli ultimi tempi sembrano potersi ritrovare i fili di una scelta ideologica, che affonda le sue radici in tempi più lontani. Gli eventi che stanno sconvolgendo la Bolivia nelle ultime settimane non lasciano molti dubbi sulla loro natura: si tratta di un colpo di stato nelle sue più classiche fattezze. La disamina sugli errori e sui meriti di Morales dovrebbe poco interessare a chi, per quanto riguarda casa propria, non transige sul rispetto della legalità costituzionale e della non violenza. Ma facciamo un passo indietro.


A cavallo dei primi due decenni del XXI secolo, il continente sudamericano stava attraversando un periodo di estremo fermento politico. A partire dalla salita al potere di Hugo Chávez in Venezuela nel 1999 (a cui succederà, una volta deceduto, Nicolas Maduro nel 2013), passando per l’elezione di Luiz Inácio Lula da Silva in Brasile nel 2003 (a cui succederà Dilma Rousseff nel 2011), e per l’elezione di Rafael Correa in Ecuador nel 2007, di Nestor Kirchner in Argentina nel 2003 (seguito da Cristina Kirchner nel 2007), fino ad arrivare all’elezione dello stesso Morales nel 2006, in alcuni dei più importanti Paesi del continente i cittadini esprimevano il loro rifiuto delle politiche neoliberiste che avevano caratterizzato gran parte degli anni precedenti.


Tutti questi governi si trovavano a fronteggiare situazioni economiche e sociali molto difficili, tra cui una povertà estrema diffusa, violenza endemica e narcotraffico, dipendenza e debolezza economica, esclusione di interi gruppi etnici e/o sociali dalla partecipazione politica. La congiuntura favorevole, sia economica, soprattutto per i Paesi esportatori di materie prime come Bolivia e Venezuela, sia politica, grazie alla possibilità di collaborazione istituzionale tra governi che si consideravano “amici” nonostante le grandi differenze che potevano esistere tra culture politiche lontane, come ad esempio tra la tradizione peronista argentina e il socialismo del XXI secolo venezuelano, portò alla messa in opera di tutta una serie di programmi volti ad affrontare le sfide sopra menzionate, anche tramite la nazionalizzazione delle imprese estrattive più importanti. I risultati non si fecero attendere e, seppure con enormi difficoltà, battute d’arresto e ridimensionamenti, gli indici di sviluppo umano dei paesi presi in considerazione migliorarono, in alcuni casi considerevolmente.

Fin da subito (si veda il tentativo di colpo di stato contro Chávez nel 2002), le élite tradizionalmente al potere cominciarono a lavorare per rovesciare la pericolosa situazione creatasi. I caratteri comuni e ricorrenti dei leader e delle organizzazioni che di volta in volta hanno portato avanti l’opposizione di destra sono la xenofobia e il razzismo verso gli indios e i poveri; la violenza, espressa anche attraverso linciaggi, saccheggi, omicidi; la provenienza dalle classi sociali più agiate e tradizionalmente al potere; il finanziamento, la collaborazione e l’intervento in loco da parte degli Stati Uniti. Nessuno dei leader della sinistra latinoamericana prima elencati è riuscito a sottrarsi a questo attacco, che si è concretizzato in varie maniere, a seconda del Paese preso in considerazione: colpo di stato in Bolivia; guerra economica e tentativi di golpe in Venezuela; uso politico della magistratura e “golpe istituzionali” in Argentina e Brasile; semplice tradimento in Ecuador.

Da questa breve rassegna si può notare che nessuno dei leader della sinistra latinoamericana sopra menzionati è stato sconfitto grazie al semplice confronto elettorale, e che il ricorso ad uno o a più di questi metodi contemporaneamente è stato fondamentale per i successivi sviluppi politici nei singoli Paesi, elettorali e non. Tutti questi eventi, avvenuti tra il 2015 e il 2019, fanno pensare che a livello di coordinamento e finanziamento ci sia stata un’accelerazione, forse causata anche dalla lotta che gli Stati Uniti hanno ingaggiato per mantenere la loro supremazia sul continente. A questo proposito a Washington è stato seguito con apprensione l’interessamento della Cina alle miniere boliviane.

Avere la fedeltà, della polizia e della magistratura è ancora indispensabile nelle democrazie a sovranità limitata del Sudamerica per evitare di subire colpi di stato di vario genere, ma forse neanche basta.

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