Yara Gambirasio, il caso è chiuso. Restano aperti i dubbi sulla giustizia

Il “no” degli Ermellini inchioda Bossetti. Ma perché negare alla difesa di analizzare quel Dna che rappresenta l’unica prova di colpevolezza?

BERGAMO – Bossetti ultimo atto? Probabilmente si. Ad uccidere Yara Gambirasio è stato il carpentiere di Mapello, senza se e senza ma. Gli Ermellini infatti hanno respinto l’istanza con la quale i legali dell’ergastolano Massimo Bossetti, recluso a Bollate, chiedevano di accedere ai reperti biologici, mai visti né analizzati dalla difesa, che sono stati le più importanti fonti di prova che hanno portato alla condanna del muratore. Claudio Salvagni, difensore di Bossetti, avuta la notizia del rigetto picchia duro:

Massimo Bossetti in galera dal suo arresto

“Al netto della lettura delle motivazioni per esprimere un giudizio ponderato – ha commentato il penalista comasco – la prima impressione è che quanto accaduto sia incredibile al punto di farmi dubitare che la giustizia esista. Il potere vince sempre. Se su Massimo Bossetti possono esserci ancora colpevolisti e innocentisti magari al 50 e 50, al 100% si può affermare che in quei reperti c’è qualcosa che noi non possiamo accertare: c’è la risposta che Massimo è innocente. Quei reperti sono sempre stati intoccabili e il perché è ormai evidente”.

La difesa dunque non potrà analizzare i reperti della vittima, ma solo prenderne visione. Un po’ come diceva mamma Rocca: si guarda ma non si tocca. In poche parole Salvagni e Camporini avevano presentato un ricorso straordinario per periziare, per la prima volta, gli abiti della giovane atleta di Brembate (leggings, slip, scarpe, felpa e giubbotto) e sul Dna, poi diventata la prova regina contro Bossetti. Lasciando stare altre incongruenze e misteri l’omicidio della povera Yara è apparso sin da subito un rebus che prendeva una brutta piega, non rispondente alla realtà dei fatti. Bossetti veniva inchiodato proprio da quel test del Dna: il profilo genetico di Ignoto 1, il killer della tredicenne, coincideva al 99,999% con quello dell’allora indagato. Ma non basta. Il 26 novembre 2010 Yara spariva da Brembate mentre andava in palestra per consegnare uno stereo. Subito dopo nebbia e buio la inghiottiranno sulla strada verso casa.

La ragazzina verrà ritrovata cadavere, tre mesi dopo, in un campo incolto nella zona industriale di Chignolo d’Isola. L’autopsia rivelerà le cause del decesso: colpi in testa, coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun fendente mortale dunque la ragazza morirà per ipotermia e per le conseguenze delle ferite. Sui leggings e slip della vittima c’è una traccia Ignoto 1 ma solo dopo 4 anni di indagini si arriverà a Massimo Bossetti, sposato e padre di tre figli. Per giungere al presunto assassino sono occorsi decine di milioni di euro, a carico dei contribuenti, per verificare 118mila utenze telefoniche e oltre 25mila profili genetici, poi consulenze, perizie e non solo.

Il Pm Letizia Ruggeri in una foto di Paolo Magni

Contro il muratore, che da subito si professa innocente, la Pm Letizia Ruggeri getta sul tavolo le sue carte migliori: il Dna, le celle telefoniche, il furgone ripreso dalle telecamere, le fibre tessili e le sfere metalliche trovate su Yara. Durante i due gradi di giudizio si appurava che le celle dei ripetitori telefonici non dimostravano che Bossetti fosse davanti alla palestra di via Locatelli proprio quella sera, che il furgone Fiat Iveco inquadrato dalle telecamere non era il suo, che le particelle di calce, le fibre tessili e le ricerche porno sul web non portavano a Bossetti che, nel frattempo, gridava dal carcere la propria estraneità ai fatti. Restava il Dna, isolato sulla calzamaglia e sugli slip di Yara, nient’altro.

Se per l’accusa quel reperto biologico costituisce la prova di colpevolezza, per la difesa il medesimo reperto potrebbe rappresentare la prova di innocenza, dunque perché non farlo analizzare? Insomma per Savagni e Camporini Ignoto 1 può non essere Bossetti, dunque perché si nega il consenso della verifica? Nel Dna basta la modifica di una variazione della sequenza di nucleotidi che codifica la sintesi di un prodotto genico nello stesso punto per identificare un’altra persona ovvero per commettere un macroscopico errore. Un errore gravissimo che può costare il carcere a vita di una persona:

Claudio Salvagni davanti al Palazzaccio

”L’unica cosa che posso dire è che hanno vinto il buon senso e il diritto – ha detto Andrea Pezzotta, legale dei Gambirasio – E lo dico lapidariamente, in risposta a quanto commentato dall’avvocato Claudio Salvagni”. Il caso è chiuso.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa