Come nel caso di Erba, scienza e diritto rimangono distanti. Nulla può mettere in discussione l’arresto del “mostro” di Mapello, annunciato con pifferi e tamburi dall’allora ministro Alfano.
Bergamo – Niente da fare. Il colpevole resta Massimo Bossetti. È stato lui ad aver ucciso Yara Gambirasio. La suprema Corte di Cassazione ha respinto l’istanza con la quale i legali dell’attuale condannato chiedevano di poter accedere ai reperti, mai da loro analizzati, che portarono all’arresto del muratore di Mapello: “In quei reperti c’è qualcosa che noi non possiamo accertare: c’è la risposta che Massimo è innocente – ha commentato l’avvocato Claudio Salvagni – quei reperti sono sempre stati intoccabili”.
Una giustizia che con coerenza persegue la prima linea adottata, che mostra lo iato fra scienza e diritto, che non concede possibilità di rimessa in discussione. E’ accaduto anche con il caso della strage di Erba: i legali chiesero di poter accedere ai reperti mai analizzati per fare accertamenti ma, prima ancora che la Cassazione si pronunciasse, e nonostante due pareri contrari alla distruzione, quelle prove finirono nell’inceneritore. Una nuvola di fumo e via, un errore di un funzionario dell’archivio del tribunale di Como, si disse. Il dubbio che in galera ci siano degli innocenti erode la coscienza di chi ce l’ha.
Per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, trovata nel campo di Chignolo d’Isola a tre mesi dalla scomparsa, il 26 febbraio 2011, il Dna è la prova regina in mano all’accusa. Durante i due gradi di giudizio si dimostrò che le celle telefoniche non dimostravano che Bossetti era davanti alla palestra di via Locatelli quella sera, che il furgone inquadrato dalle telecamere non era il suo, che le particelle di calce, le fibre tessili, le ricerche porno sul web non portavano a Bossetti, che si è sempre detto innocente. Restava il Dna, isolato sui leggins e sugli slip di Yara: la prova che inchiodò il muratore e che per i legali della difesa può dimostrare la sua innocenza. Perché, sostengono da sempre, “Ignoto 1” può non essere Bossetti. Basta un allele e si cambia persona.
E poi, che cos’è quel DNA? Sangue? Sperma? Saliva? Non si sa, nessuna risposta da parte dei genetisti che lo hanno analizzato. E come mai una parte di quella traccia è degradata e l’altra parte è purissima, tanto da sembrare provenire da un tampone fatto il giorno prima? La parte mitocondriale del Dna di Bossetti, ovvero quella che riconduce alla linea materna e che si ritrova anche a distanza di secoli, non c’è. Perché? Nessuna risposta. La parte nucleare del Dna, quella definita “purissima” che invece è idrosolubile e non potrebbe resistere tre mesi agli agenti esterni c’è, ed è ricondotta a Bossetti. Di certo la famosa traccia “31g20” con DNA misto di Yara e Ignoto 1 (poi diventato Bossetti) non si vedeva, neanche col Crimescop e con il Luminol: fu estratta da un pezzetto di tessuto; dunque non si sa nemmeno se sia la stessa traccia.
E, poi, come possono essere così diversi? Uno puro e uno degradato? Fosse vero che sono stati deposti insieme, da assassino e vittima, dovrebbero avere le medesime caratteristiche di degradazione. E invece no. Come nel caso della traccia ematica trovata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano: non evidenziata con nessuno strumento, certamente degradata in quanto la macchina fu esposta agli agenti atmosferici per quindici giorni, ma che nel laboratorio di genetica si trasforma in “purissima e concentrata”.
Certamente, tornando al caso del muratore di Mapello condannato all’ergastolo in via definitiva il 12 ottobre del 2018, sono molte le verifiche che avrebbero potuto essere fatte, anche oggi, per dipanare e risolvere i punti interrogativi. Per esempio, la verifica di altri DNA: all’interno di Ignoto 1 c’è una componente mitocondriale mai analizzata. Di chi è? Non si sa. Come non si sa di chi sono quelle tracce genetiche sul guanto di donna e di uomo, persone rimaste senza identità. Anche quei 9 reperti piliferi trovati sul corpo di Yara (due della stessa persona) restano, senza identità. Indagini tecniche effettuate, secondo gli avvocati di Bossetti, con criteri non scientifici e non rispettosi delle “best practises” (evidenziarono 261 anomalie su 103 ripetizioni e l’utilizzo di kit scaduti) che inevitabilmente portarono a risultati contraddittori e incompleti.
Sarebbe bastato avere quei reperti, fare il confronto con il Dna prelevato da Massimo Bossetti, per dipanare qualsiasi controversia ed andare oltre il sacrosanto principio del ragionevole dubbio. E avere certezza che magari l’assassino di Yara sia lui, perché no. Ma sono troppi i misteri da svelare, la benda vela gli occhi della dea giustizia e il mondo reale si nasconde agli occhi dell’uomo dietro quello stesso velo.