Lavoro: i “competenti” invecchiano, manca il ricambio generazionale

Secondo le stime del Censis il fenomeno dei posti vacanti, tanto nell’industria quanto nel terziario, produce al “sistema Italia” un danno di 27,8 miliardi.

Roma – Non manca il lavoro, ma i lavoratori! Quando si tratta di indagini socio-economiche sembra che ci si diverta a “fare le pulci”, come si dice in gergo, su analisi precedenti per dimostrare il contrario. E’ il caso della carenza di lavoro e della conseguente crescita di disoccupazione e disagio sociale. Ora uno studio a cura del Censis e di Confcooperative “Lavoro, il mercato contorto: l’Italia alle prese con mismatch (disequilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro) demografia e grandi dimissioni”. Per la cronaca il Censis è un istituto di ricerca socio economica che ogni anno presenta un rapporto sulla situazione del Paese. La seconda è la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane. Secondo i dati diffusi, la carenza di lavoro equivale all’1,5% del PIL (Prodotto Interno Lordo), che provoca un freno alla produttività delle imprese e, quindi, alla ricchezza del Paese.

Offerta e domanda di lavoro non si incontrano più

Gli effetti economici di questa situazione sono disastrosi e, secondo le stime del Censis, il tasso dei posti vacanti nell’industria e nei servizi è quantificabile in 27,8 miliardi di euro. La struttura socio-economica del Paese è composta da età molto avanzata dei lavoratori, dislivelli nella redistribuzione del lavoro tra le varie are geografiche del Paese, maggiori competenze richieste dal mercato del lavoro. Questa fotografia della realtà produce un incontro tra domanda e offerta di lavoro che si realizza in maniera asincrona. La percentuale di posti mancanti riguarda, con numeri diversi, l’industria, i servizi, turismo, informazione e comunicazione e, seppure in tono minore, il manifatturiero, il settore energetico e trasporti. Il dato più preoccupante è dovuto al fatto che negli ultimi 10 anni, gli occupati superiori ai 50 anni sono cresciuti di 3 milioni, con un incremento del 3,6%. Inoltre, gli occupati con 65 e oltre anni d’età sono 687 mila.

Di conseguenza sono diminuiti gli occupati tra i 15-34 anni d’età di 361 mila unità. Con questi sintomi appare inevitabile che la penuria di lavoratori, l’assenza del ricambio generazionale, la stagnazione della crescita, della produttività e dell’innovazione, possa dare il colpo di grazia al “sistema Paese”. La ricerca ha, in parte sconfessato quel fenomeno conosciuto come le “grandi dimissioni”, ovvero la tendenza economica in cui i dipendenti si dimettono volontariamente in massa dai loro posti di lavoro. Si tratterebbe, in realtà, di “mobilità interna” del mercato del lavoro, perché molti si sono ricollocati nel giro di tre mesi. Come già emerso in altri studi, è confermata che la ricerca di un nuovo lavoro è motivata da migliori condizioni lavorative e da un cambiamento nella scala di valori. Infatti, mente dieci anni il motivo principale nel cambiare lavoro era percepire stipendi più alti, oggi la percentuale è molto più bassa.

Il Censis ridimensiona il fenomeno delle “grandi dimissioni”

Tra le cause che inducono al cambio di lavoro, è determinante la ricerca di un lavoro più qualificante per le proprie competenze e più appagante dal punto di vista umano. La ricerca di un nuova collocazione lavoratrice, tuttavia, spesso, avviene nell’ambito dello stesso settore di origine, anche se la percentuale varia da settore a settore. Un dato da tenere in considerazione è relativo agli insoddisfatti del proprio lavoro in relazione alle proprie competenze. Ebbene, nel 2012 la percentuale era del 13,1%, mentre dieci anni dopo del 36,1%. Un salto quasi triplo, quasi a dar ragione a chi ritiene il lockdown responsabile di un profondo esame di coscienza sul proprio modo di vivere. Anche se, c’è da aggiungere, che il 2012 è stato attraversato da una grave crisi economica e finanziaria, mentre il 2022 è stato in lieve ripresa. Che manchi il lavoro o i lavoratori, il risultato, ahimè, non cambia: manca, nell’uno e nell’altro caso, una classe dirigente all’altezza dell’arduo compito!

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