L’impatto dei cataclismi, soprattutto sui Paesi meno sviluppati e sui ceti meno abbienti, è enorme: una catastrofe sociale che può essere limitata, ma occorre agire in fretta…
Roma – Il 13 ottobre scorso è stata celebrata la “Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali. Quest’anno il tema centrale è stato “Lotta alle disuguaglianze per un futuro resiliente”. E’ stata designata nel 1989 dall’Assemblea dell’ONU, con lo scopo di “promuovere una cultura globale della riduzione del rischio di disastri. Secondo gli esperti il nostro pianeta dovrà prepararsi, nei prossimi decenni, ad affrontare circa 560 disastri all’anno, che provocheranno una crescita della povertà. Si parla di 37, 6 milioni di individui in gravi condizioni di indigenza. Inoltre, nell’ipotesi più rovinosa, i disastri ambientali accompagneranno altri 100,7 milioni di persone nelle misere braccia della povertà.
Disastri e disuguaglianza sociale sono due fattori fortemente legati tra loro. Il divario esistente nell’accesso ai servizi, come la possibilità di finanziamenti e assicurazioni, mette i più vulnerabili nelle condizioni di essere facili prede dei pericoli delle catastrofi. Inoltre, i disastri non fanno altro che allargare la forbice delle disuguaglianza e determinano ancor di più la caduta verso la povertà. E’ emerso che tra il 1970 e il 2019, l’ONU ha certificato che il 91% dei decessi provocati da disastri atmosferici, climatici e idrici, è avvenuto nei Paesi più poveri.
Questi numeri sono stati avvallati dalla Banca Mondiale, secondo cui l’82% di decessi legati ai disastri ambientali, ha riguardato Paesi a reddito medio-basso. Inoltre, ormai è acclarato, che i 2/3 degli eventi meteorologici estremi sono dovuti alle forti emissioni di anidride carbonica, peculiarità degli Stati più industrializzati. Si può dire che, da questo punto di vista, i paesi Poveri pur essendo i meno colpevoli si trovano a pagare il prezzo più elevato.
Tuttavia il divario è evidente anche all’interno degli stessi Paesi e delle comunità e gioca un ruolo decisivo nello stabilire i soggetti che vengono colpiti da un evento disastroso. Chi si trova con le proverbiali “pezze al c***”, spesso, non riesce ad investire in misure per la riduzione dei rischi. Inoltre, è facile che abiti in dimore di bassissima qualità, insicure e viva in un contesto sociale in cui emerge la penuria di servizi fondamentali come l’assistenza sanitaria, trasporti pubblici, infrastrutture di base e comunicazioni. Altre categorie di persone a rischio sono le donne, i bambini e chi è portatore di disabilità. Gli esperti dell’ONU hanno ribadito l’importanza di una pianificazione rigorosa e ben coordinata.
Le Istituzioni politiche devono offrire strumenti adatti per il finanziamento dei Paesi più poveri e impegnarsi per ridurre la povertà e le disuguaglianza. Infine, è emersa una carenza di informazioni. Soprattutto nella registrazione dei dati allo scopo di capire meglio gli impatti delle catastrofi e per informare i piani di realizzazione della resilienza. Va bene tutto, ma ora basta chiacchiere, si pretendono i fatti. Anche perché, come recita un vecchio adagio contadino: ”Le chiacchiere non riempiono le budella”. Vale a dire che per raggiungere uno scopo bisogna darsi da fare e non “ciurlare nel manico”.