Socializzare troppo fa male alla salute

La complessità delle relazioni umane e il benefico equilibrio tra interazioni sociali e momenti di solitudine. Condividere con il prossimo in maniera eccessiva può essere dannoso.

Roma – La vita, spesso, è bizzarra. Ciò che si pensava consolidato, all’improvviso non lo è più. Quando è scoppiata la pandemia, col lockdown ci si è resi conto di quanto importanti fossero le interazioni sociali, interrotte per evitare la diffusione dell’infido virus. Ora, sembra, invece, verificarsi il fenomeno opposto. Ovvero quello che è stato definito dagli psicologi “social hangover”, “stanchezza sociale”. Eppure è noto che gli esseri umani, in quanto animali sociali, vivano più a lungo se stabiliscono consistenti legami familiari e sociali. Ciononostante, questa vita di relazioni produce un senso di sfinimento fisico e mentale. Si arriva al punto che dopo una giornata così intensa, non se ne può proprio più e si avverte il bisogno di starsene per cavoli propri.

Comuni esperienze emotive o segnali di bisogni nascosti?

C’è chi manifesta irascibilità e suscettibilità, da cui scaturiscono difficoltà a concentrarsi. Tuttavia non bisogna fasciarsi la testa, poiché sono esperienze comuni, in particolare, alle persone introverse e sensibili. Si tratta, quindi, di uno stato d’animo che, ogni tanto, fa capolino tra le nubi della vita quotidiana e non di uno stato patologico. Tanto rumore per nulla, dunque? Beh, non proprio. L’allarme potrebbe sorgere se si determinassero altri disturbi per la salute mentale. Gli studiosi sono del parere che, pur essendo una condizione che si presenta di tanto in tanto, potrebbe essere la manifestazione di un bisogno frustrato e si avverte, quindi, l’esigenza di riparare un’emozione scalfita.

Non esiste un modo univoco di esprimere questo stato d’animo. Ognuno si comporta come la propria personalità impone. L’importante è essere lineari con le proprie esigenze, ascoltando la voce del proprio corpo. Un compito che andrebbe praticato più spesso ed, invece, si fa di rado. In questo senso si parla di “solitudine positiva” per, volontariamente, collegarsi col proprio sé. Non serve per forza dedicarsi a forme di meditazione particolari, ma volere qualcosa di molto semplice, come trascorrere una serata da soli, tranquilli, in casa. A questo punto fioccano i consigli degli esperti: avere autocura della propria persona, dedicarsi alla lettura, un sano esercizio fisico, andare in vacanza da soli, praticare lo yoga o i “ritiri del silenzio”. In quest’ultimi due casi, ci troviamo già ad un livello leggermente superiore, che prevede un minimo di pratica. Quando ci si riconnette con la propria interiorità, si avvertono immediatamente i benefici.

La scienza della disconnessione sociale

Ci si sente dotati di più calma del consueto e si coglie l’occasione per affrontare situazioni che la routine quotidiana ci impedisce di fare. Quella che gli psicologi hanno definito “processo di disconnessione sociale” può essere esercitato anche in compagnia di familiari o di amici. Non bisogna, quindi, farlo per forza in solitudine, dipende dalla sintonia che si riesce ad instaurarsi con gli altri. Questo è estremamente importante, perché le riserve della nostra energia non sono infinite ed ognuno di noi è consapevole se la propria “spia” è in riserva oppure no. Alla fine della giostra, come recita un vecchio adagio partenopeo “non ci vuole la zingara per indovinare il futuro”.

Nel senso che non c’era bisogno dell’impegno e dello studio di tanti psicologi per giungere ad una conclusione banale, già patrimonio del senso comune. Ovvero: starsene per cavoli propri, a volte, fa bene, ma a modiche dosi. Altrimenti si rischia l’isolamento e in questo caso i cavoli diventano…amari.

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