Le spiagge sono affollate dai vacanzieri di fine agosto. In spiaggia grande esposizione di costumi da bagno, quasi una lotta spasmodica a chi indossa quello all’ultimo grido, soprattutto tra le più giovani, sempre che lo vestano…
Roma – E pensare che questi due pezzi di stoffa o poco più, hanno rappresentato nei decenni un simbolo delle battaglie femministe. Tutto cominciò nel XVIII secolo, quando iniziarono a diffondersi le attività balneari e con esse l’idea che facessero bene alla salute. Immergersi nell’acqua non era una chance per le donne, a cui veniva imposto di immergersi in acqua con lunghi e ampi abiti. Ecco fino a che punto può arrivare la mentalità maschilista: gli abiti da bagno avevano un secondo orlo che di solito veniva riempito di piombo per non far galleggiare le natanti.
Lo scopo? Potevano scoprirsi parti del corpo e così si garantiva un certo decoro (sic)! Il secolo XVIX fu caratterizzato da un crescente sviluppo delle attività acquatiche e con esso la diffusione di costumi un po’ più aderenti per valorizzare il corpo femminile. Questi abiti coprivano quasi tutto il corpo perché alle donne non era consentito partecipare alle attività ludiche. Inoltre, con una certa dose di sadismo, furono imposti dei calzettoni di lana o cotone che, una volta bagnatisi, impedivano di muoversi e la partecipazione ai giochi era puramente fittizia.
Bisogna aspettare la fine dell’800 per vedere qualche novità. Divennero, infatti, più corti e confezionati in tessuti più leggeri rispetto a quelli pesanti e scomodi di prima. E’ col XX secolo che si assiste ad un cambio di rotta. Il nuoto, fu inserito come sport agonistico nelle competizioni femminili e rappresentò il primo sasso lanciato nello… stagno. Nel frattempo, due grandi colossi del settore come Jantzen e Speedo cominciarono una dura lotta per la conquista del mercato. Furono sviluppati nuovi tessuti e i costumi da bagno apparvero sulle riviste come oggetti desiderati dal pubblico femminile. Dagli anni’ 30 l’abbronzatura iniziò a fare i primi passi verso quello che sarebbe diventato un vero e proprio “status symbol”.
Una volta si pensava che fosse una prerogativa della classe operaia, mentre ora iniziò ad essere considerata fonte di benessere. Durante gli anni ’40 negli USA, la figura femminile, nell’immaginario collettivo, mutò in direzione di curve e corpi seducenti. Il mercato, come sempre, segue l’evolversi dei… costumi sociali e le aziende cominciarono a produrre modelli che valorizzassero le forme. Ma è stato l’avvento del “bikini” a compiere la vera rivoluzione nel settore. Fu prodotto dal noto sarto francese Louis Réard che lo chiamò “bikini”, ispirato dall’omonimo atollo nelle Isole Marshall.
In queste isole, situate in Oceania, in quel periodo gli USA stavano effettuando esperimenti nucleari e Réard era convinto che i “bikini” sul mercato avrebbero avuto senz’altro un esito… esplosivo! Fu la famosa attrice francese Brigitte Bardot che ne diffuse l’uso, quando fu fotografata su una spiaggia di Cannes. Da allora, il “bikini” divenne l’icona per eccellenza tra tutti le classi sociali. I costumi da bagno hanno continuato ad evolversi e attraverso di essi le donne si sono sentite libere di esprimere la propria personalità. L’atto dello svestirsi sempre di più, mostrando il proprio corpo, è stato un modo per trasmettere un messaggio di libertà. Tuttavia col tempo, ha perso questa “carica eversiva” e ha finito per soccombere alle ferree leggi del marketing!