Il post Berlusconi fa tremare la democrazia

Adesso che il suo avversario per eccellenza non c’è più, D’Alema parla di un sistema giudiziario “feroce” nei confronti del Cavaliere. Che cosa si nasconde dietro le parole dell’ex leader Pd?

Roma – Il post-mortem di Silvio Berlusconi ha riaperto vecchie ferite e considerazioni mai espresse per intero. Solo che adesso, cioè dopo la morte del fondatore di Forza Italia, è come se si fosse rotto un argine, compresso e a volte coperto di fango, che però diventa ogni giorno che passa sempre più inquietante e pericoloso per la probabile esondazione di tante verità nascoste. Non si sa che cosa stia succedendo, ma la sensazione è che tutto improvvisamente appare più chiaro.

Insomma è stato detto e fatto così tanto, tra verità e supposizioni, che il tappo della bottiglia sembra essere saltato improvvisamente, ed in modo trasversale, come succede quando si agita lo spumante. È un coro di lamenti e rivisitazioni del passato che fanno presagire che anche dopo la morte di Berlusconi, vi sarà una lievitazione di circostanze e narrazioni che, in ogni caso, saranno poco edificanti per la nostra democrazia e per i tanti cittadini che si sono fidati del ruolo di imparzialità e senso della legalità che doveva pervadere i tanti attori sociali di una Italia, troppo spesso in balia di condottieri last minute.

Il dato che colpisce maggiormente è che coloro i quali sono stati avversari del Cavaliere stanno dallo stesso giorno della morte, ammettendo una sorta di “persecuzione” giudiziaria e mediatica che inizia con il successo politico dell’imprenditore lombardo, che ha osato sfidare la sinistra e batterla alle elezioni. Questo dopo il ciclone giudiziario di “mani pulite”, che aveva fatto pulizia di quasi tutti i partiti. Anche D’Alema, sarà forse per l’indagine nei suoi confronti, esprime uno stato d’animo critico nei confronti dei giudici.

Berlusconi e D’Alema nel 2001 durante la campagna elettorale

L’ex ministro degli Esteri si trova in un momento assai delicato in quanto sotto inchiesta dalla Procura di Napoli per corruzione internazionale. I magistrati hanno acceso un faro sul ruolo di D’Alema in una trattativa, peraltro mai andata in porto, per la vendita alla Colombia di navi e aerei militari di due aziende di Stato: Fincantieri e Leonardo. Vedremo come andrà a finire. Sembra un’altra persona l’ex numero uno del Pd, tenuto conto delle varie dichiarazioni nel tempo rilasciate con commenti alle indagini e sentenze altrui.

“L’indebolimento del sistema dei partiti ha lasciato campo ad una crescita del potere politico nella magistratura – ha affermato l’ex presidente del Consiglio – che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente”.

In sostanza l’ex leader lascia filtrare una netta mutazione del proprio pensiero. Eppure molto è stato detto e scritto dell’opera giudiziaria nella storia recente. E non solo in quella di Berlusconi. Degli effetti distorti che nel nostro Paese hanno avuto indagini e processi, del loro impatto sulla vita dei governi e delle istituzioni, oltre che sulle vicende personali delle persone coinvolte. Anche la magistratura è entrata in questo circo. Il caso “Palamaradocet. D’Alema dunque scopre alcune carte affermando addirittura che la “magistratura si è arrogata il diritto di fare qualcosa di più che perseguire i reati e che ha sviluppato una sorta di potere politico”.

Per D’Alema la magistratura ha sviluppato un potere politico

Resipiscenza, senso di colpa, interesse, avvertimenti suggestivi di un attore politico che sta vivendo male l’indagine nei suoi confronti, e non potrebbe essere altrimenti, ma che nello stesso tempo rende ancora più fondata la supposizione di un disequilibrio tra poteri costituzionali, macchiando anche il valore e l’effettiva autonomia di molti magistrati onesti.

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