Dopo decenni di attesa Pietro Orlandi solleva nuovi interrogativi sulla sparizione di Emanuela e sul coinvolgimento del Vaticano. Tre Papi sapevano ma si è preferito il silenzio su un caso scomodo ancora oggi.
ROMA – “Il Papa sa tutto su Emanuela, che mia sorella non venga usata… E che la commissione d’inchiesta non subisca ulteriori ritardi. Alla Camera tutti solidali, insomma le istituzioni sono sembrate dalla nostra parte, poi al Senato ha subito un rallentamento perché c’erano in corso altri lavori. C’è stato anche un emendamento da parte di tale Della Porta che chiedeva una minore durata della Commissione parlamentare…La mia paura è che la vicenda di Emanuela venga usata per diatribe fra maggioranza e opposizione…”.
Cosi si è espresso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza quindicenne sparita il 22 giugno 1983, nel corso di un incontro con gli studenti della Sapienza che hanno voluto conoscere la storia della ragazza sparita come un fantasma:
”Sono convinto che tutti e tre i Papi abbiano saputo – rincara la dose Pietro Orlandi – in quarant’anni ci sono stati tanti momenti di illusione e disillusione…Per me il caso non è mai stato chiuso, il Vaticano ha aperto per la prima volta un’inchiesta oggi. È assurdo, per quarant’anni si è sempre rifiutato di collaborare con la Procura di Roma. Forse hanno deciso che è il momento di chiudere questa vicenda. Me lo auguro”.
I tre Papi contro cui Orlandi punta il dito sono Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco, ovvero i pontefici che si sono susseguiti in questi ultimi quarant’anni. I giovani che hanno seguito l’incontro organizzato lo scorso 27 maggio dall’associazione Sapienza in Movimento presso la facoltà di Scienze Politiche hanno dimostrato particolare interesse per la tragica vicenda che, probabilmente, è finita con l’omicidio della cittadina vaticana che amava la musica e tifava per la Roma. Quella in atto è forse la prima vera inchiesta che la Procura capitolina ed il Vaticano hanno avviato sulla corta di elementi testimoniali e documentali forse da troppo tempo trascurati se non mai presi in seria considerazione.
Di contro Pietro Orlandi non si è mai arreso. Ha continuato a mantenere accesi i riflettori su una delle storie di cronaca nera più controverse degli anni 80 dove politica, clero, servizi segreti hanno fatto a gara per depistare e confondere le carte affinché non si giungesse mai alla verità. E non è detto che ci si riesca adesso magari con un’altra indagine, certamente l’ultima, che potrebbe portare ad un nuovo quanto deflagrante nulla di fatto. Per chiudere definitivamente un fascicolo che ancora oggi potrebbe dare grossi problemi a più di qualcuno:
”La parola principale di questi quarant’anni è stata attesa – ha aggiunto Orlandi – bisogna aspettare, devi avere pazienza, devi stare calmo. Continuano a dirmi queste cose ancora oggi, dopo quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela, ma io devo mantenere l’equilibrio, perché voglio arrivare fino in fondo. Voglio restituire giustizia a mia sorella”.
Il 7 maggio del 1983 spariva un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela. I due casi venivano quasi subito collegati. Come se la mano operativa fosse la stessa. Ne parlò anche Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla, ma da quelle rivelazioni non sono mai venuti fuori fatti concreti. Mirella Gregori, studentessa, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, non conosceva Emanuela, né le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Dunque perché legare i due casi? In poco tempo la sparizione della ragazza diventa un intrigo internazionale che coinvolge in pieno la Santa Sede.
Il Papa interviene con diversi appelli. La prima inchiesta veniva archiviata nel luglio 1997 perché priva di elementi investigativi. Poi entrava in gioco la Banda della Magliana, più volte citata nella vicenda, che nel giugno del 2008 diventerà la sospettata numero uno con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi della cosca criminale. Emanuela Orlandi, secondo la Minardi, sarebbe stata uccisa dopo la prigionia nei sotterranei di un palazzo vicino all’ospedale San Camillo. E mille altri intrecci, nomi di alti prelati, delinquenti e confidenti che porteranno più volte in archivio. Stavolta chissà.