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L’economia del “falso” va a gonfie vele

Da decenni in tutto il mondo si è diffusa un’economia del “fasullo” che reca gravi danni a quella reale. Non c’è settore che sfugga alla minaccia. Dai detersivi all’olio d’oliva sino al fashion. Quest’ultimo comparto è quello più colpito. Borse, scarpe e vestiti che hanno contribuito ad accrescere il prestigio del Made in Italy, oltre che consistenza economica.

Roma – Negli ultimi tempi si stanno diffondendo a dismisura le borse “false”, che riproducono i modelli dei marchi che vanno per la maggiore. Sono così perfetti che si parla di “superfalsi”, considerato che si fa fatica a distinguerli dai prodotti originali. Questi articoli provengono dalla Cina e dimostrano una qualità superiore rispetto ai “falsi” di una decina di anni fa. Inoltre, vengono immessi sul mercato subito dopo quelli veri, in quanto la loro produzione avviene in tempi repentini.

Secondo gli esperti questo mercato si è così diffuso per due fattori: l’aumento dei prezzi delle borse di lusso e l’aumento del costo delle materie prime, dei trasporti e la crisi economica mondiale. Inoltre, la diffusione dell’e-commerce facilita il mercato parallelo. Sarà la crisi economica o altro, fatto sta che i consumatori non si fanno tanti problemi, reputando conveniente spendere meno per un prodotto molto simile all’originale. Come se si stesse facendo un’operazione di democratizzazione della moda, che permette di aggirare le regole delle multinazionali del settore. Il mercato in Cina si è talmente consolidato che sono milioni le persone che lavorano nella contraffazione.

Le borse false invadono le strade e i negozi italiani.

Poi c’è da segnalare che i produttori cinesi, oltre all’alta tecnologia, dispongono di alta specializzazione dei lavoratori. Questi ultimi vengono pagati molto meno che nei Paesi occidentali e, pagando meno tasse, i prezzi che riescono a stabilire sono molto competitivi. I grandi marchi hanno tentato di arginare l’ondata del “falso”, ma senza riuscire a trovare soluzioni definitive. Qualche anno fa, LVMH (multinazionale proprietaria di oltre 70 aziende del lusso), Prada (leader nel settore della moda) e Cartier (noto produttore di gioielli e orologi) hanno costituito una sorta di consorzio per la certificazione della filiera di produzione e per offrire al cliente la prova dell’autenticità.

Per fare questo è stata utilizzata la tecnologia blockchain, il cui significato è “catena di blocchi”. Ovvero una rete informatica di nodi che gestisce in modo univoco e sicuro un registro pubblico composto da una serie di dati e informazioni, come le transazioni, in maniera aperta e distribuita, senza che sia necessario un controllo centrale. Le autorità manifestano molta difficoltà per l’individuazione delle merci contraffatte, a causa dell’alto numero di merci che valicano la frontiera. Pare che si riesca a controllarne solo il 5%, numero che dà la misura del fenomeno.

Ma, secondo quando afferma Business of Fashion (rivista online di notizie e analisi sull’industria della moda), passata la buriana della pandemia, le vendite del settore “lusso” sono state sostanziose, tanto da tornare ai livelli precedenti, con stime di crescita anche per quest’anno. Al di là di questi aspetti, un dato di fatto è incontrovertibile: l’economia della contraffazione è viva e vegeta. E rappresenta un virus, questo sì molto letale per l’economia reale e per le regole del libero mercato. Sarebbe auspicabile un serio intervento delle autorità mondiali, ma di questi tempi: “campa cavallo”…

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