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Tecnologia e lavoro, chi ne beneficerà davvero?

L’irruzione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale (IA) nelle nostre vite è stata salutata con entusiasmo, in quanto generosa facilitatrice delle nostre incombenze quotidiane. Ma è davvero così?

Roma – È innegabile che i vantaggi introdotti dal progresso della tecnologia sono tanti. Basti pensare alle comodità offerte dalla domotica, branca che si occupa dello studio delle tecnologie adatte a migliorare la qualità della vita nella casa e negli ambienti antropizzati. Gestite da remoto. Ma non tutto è come sembra. Nel settore del lavoro, ad esempio, si potrebbero perdere molti posti.

Un recente studio di Goldman Sachs -azienda che si occupa dell’investment banking, trading di titoli e gestione di investimenti- dal titolo: The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth, ha stimato come l’IA possa determinare una crescita economica a livello mondiale. Innanzitutto, il costo del lavoro subirà un considerevole ribasso, la creazione di nuova occupazione e la crescita della produttività. Le vittime sacrificate sull’altare dell’innovazione tecnologica, in Europa e negli USA, oscillerebbero a circa 2/3 dei posti di lavoro, sostituiti dall’automazione. I più entusiasti e ottimisti ritengono che la maggioranza delle persone sarebbero alleggerite del 50% del carico di lavoro, senza, peraltro, perderlo. Inoltre, avrebbero a disposizione più tempo libero.

Il timore che si dissolvano molte figure professionali è concreto.

I ricercatori hanno evidenziato che, per ammortizzare gli effetti negativi, le aziende dovrebbero mettere al primo posto della loro strategia aziendale la formazione per i lavoratori per trasmettere le competenze ad hoc, adeguate all’evoluzione del mercato del lavoro. Secondo la ricerca sarebbero a rischio ben 300 milioni di posti di lavoro. Le prime attività a… subire la mannaia del progresso sarebbero quelle manuali, di routine e ripetitive. Si parla di operatori di cassa, commessi, impiegati amministrativi, contabili e avvocati. Si potrebbe avere un aumento del PIL (Prodotto Interno Lordo) mondiale del 7% e una crescita di occupazione in altri comparti. Tuttavia, secondo gli esperti, quest’aspetto non deve destare molti timori, perché l’IA non prenderà in toto il posto del lavoratore, ma sarà uno strumento utilizzato per la crescita della produttività e lo sviluppi dei processi aziendali. In modo che le imprese possano essere competitive sul mercato globale senza accantonare l’aspetto umano del lavoro.

È chiaro che qualsiasi critica al modello dominato dall’IA rischia di essere tacciata di “luddismo”. Con questo termine si fa riferimento al movimento operaio che in Gran Bretagna, in piena Rivoluzione industriale, durante il 18° secolo reagì con violenza all’introduzione del telaio nell’industria tessile, in quanto avrebbe causato disoccupazione e bassi salari. Il movimento prese il nome dall’operaio Ned Ludd che, nel 1779, infranse un telaio per protesta. E nemmeno si vuole un ritorno al passato. La tecnologia e l’IA ci sono e vanno accettate. Si tratta solo di saperle gestire a vantaggio della collettività e non di pochi eletti. In questo caso sarebbe come consegnare loro le redini del mondo.

La sfida per conservare “umanità” sul lavoro è lanciata.

Spetta alla politica, alle istituzioni governative e alla comunità tutta gestire le criticità che ogni rivoluzione produce. Sono quelle fasi di passaggio tra un sistema ad un altro che creano confusione, disagio sociale, conflittualità, ribellione, che a volte sfociano nella violenza. È un periodo di assestamento, il fio da pagare sull’altare del cambiamento. Si spera solo che a pagarne il prezzo più alto non siano i soliti poveri cristi, i più fragili: sottoproletariato urbano, precari della vita, sottoccupati, meno abbienti e classi popolari in generale. Hanno già dato abbastanza nel corso dei secoli e hanno tutto il diritto ad avere una ricompensa.

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