Il 18 marzo scorso, come ogni anno, si è celebrato il Global Recycling Day (Giornata Globale del Riciclo). E scopriamo che l’Italia si comporta sorprendentemente bene in questo ambito.
Roma – Lo scopo è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle buone pratiche dell’economia circolare per tutelare le risorse naturali e assicurare sostenibilità al pianeta in cui viviamo. L’evento, istituito il 18 marzo 2018 dal Bureau of International Recycling, un’organizzazione belga senza fini di lucro sorta per sostenere il riciclo su scala internazionale, mira alla promozione di un approccio globale al tema. L’invito è rivolto ai governanti politici, multinazionali e comunità locali. Annualmente nell’Unione Europea (UE) si producono più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti, di cui solo il 50% viene sottoposto a riciclo e il tasso di circolarità arriva al 12,8%.
L’UE, per favorire il passaggio da un’economia lineare a una circolare ha adottato 35 azioni fondamentali suddivise in sette aree: tessile, rifiuti elettronici, cibo e acqua, batterie e veicoli, edifici e costruzioni, plastica, imballaggi. Inoltre, il “Green Deal”- il Patto Verde europeo, un insieme di iniziative della Commissione Europea per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050 – mira a rendere i prodotti più sostenibili e duraturi utilizzando materiali riciclati. Infine, riduzione di sprechi e rifiuti, trasformandoli in risorse secondarie affinché la circolarità diventi fondamentale per la gestione dei territori.
L’Italia che ha nomea di essere la monella del gruppo, nel riciclo, invece, è all’avanguardia in Europa. Malignamente si potrebbe pensare al… riciclo di denaro sporco, di cui siamo maestri. Ed invece si tratta proprio del riciclo dei rifiuti. Confrontando i danni, ci si rende conto dell’effettiva inversione a U compiuta nel settore. Nel 1997, l’80% dei rifiuti veniva scaricato in discarica e solo il 9,4% scartato separatamente. Il 21% dei rifiuti industriali si riciclava, mentre il 33% andava in discarica. Nel nuovo secolo solo il 20% dei rifiuti ha terminato la sua vita in discarica e il 63% separato. Per i rifiuti industriali il 70% riciclato e il 6% in discarica.
Sono numeri che hanno fatto crescere l’industria del riciclo, diventata importante per tutta l’economia nazionale. Si tratta di un comparto con 4.800 imprese e quasi 240mila addetti, con un valore aggiunto di 10,5 miliardi. La strategia alla base della circolarità dei rifiuti punta all’eliminazione del concetto stesso di rifiuto. Alla base c’è condivisione, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti per allungarne la vita e diminuire il consumo di risorse naturali. In questo modo si favorisce la rigenerazione dei suoli e la biodiversità, riconsegnando materiali all’ecosistema.
È chiaro che per raggiungere lo scopo, bisogna percorrere alcune tappe intermedie, durante le quali si recupera il valore dei rifiuti creati e ancora prodotti. Il riciclo, attraverso cui i rifiuti si trattano e si trasformano in nuovi prodotti o materie prime, rappresenta uno strumento fondamentale contro il cambiamento climatico e per la sostenibilità globale. Un’azione effettiva e concreta, secondo alcune stime, entro il 2030, potrebbe innescare un processo virtuoso e far risparmiare più di un miliardo di tonnellate di emissioni di CO2. Ora, se siamo giunti a questo punto lo dobbiamo alla nostra avidità, protervia e arroganza, frutto della concezione antropocentrica di natura e ambiente. Sarebbe bastato chiedere ai nostri avi contadini, che eliminavano o smaltivano qualcosa solo dopo averla riciclata un’infinità di volte.