Saman Abbas: lo zio Hasnain gioca al rimpiattino e accolla l’omicidio a Nazia

L’uomo era il “parente buono” che aveva condiviso le scelte della nipote sino a rischiare la vita. Poi punta il dito sulla madre della vittima tuttora latitante: è stata lei ad ammazzare la figlia. La sua versione dei fatti non convince gli inquirenti.

REGGIO EMILIA – Il processo per la morte di Saman Abbas, la ragazzina pakistana uccisa perché non voleva sposare un suo parente a cui era stata promessa dalla famiglia, si avvicina alle fasi di maggiore tensione per gli imputati. Ed il previsto scarica barile è puntualmente arrivato con lo zio Danish Hasnain nella parte del “parente buono” che avrebbe rischiato la vita se avesse difeso Saman ad oltranza.

La povera Saman

Per l’odierno imputato accusato di omicidio e occultamento di cadavere in solido con i genitori di Saman, Shabbar Abbas, al momento detenuto in Pakistan, e Nazia Shasheened, tuttora latitante, ed i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, ad uccidere la studentessa quella terribile notte del 30 aprile 2021 sarebbe stata proprio la madre della vittima. Nonostante le “confessioni” di Shabbar che si sarebbe intestato l’omicidio, naturalmente a distanza, ovvero nel suo Paese dove la tolleranza, in eccidi di questa natura, è ben nota. Hasnain dunque parla ancora, a singhiozzo, e racconta agli inquirenti la sua verità.

In buona sostanza l’uomo, per il quale è stata ipotizzata la responsabilità materiale dell’omicidio, avrebbe avuto un ottimo rapporto con Saman poiché condivideva il suo fidanzamento con Saquib Ayub, il cui rapporto sentimentale con la vittima era invece osteggiato dalla famiglia. Il 10 marzo scorso, durante sei ore di colloquio con il procuratore capo Calogero Paci e il Pm Laura Galli, alla presenza del proprio difensore Liborio Cataliotti e dell’interprete, Danish ha snocciolato altri particolari che poi andranno verificati e ripetuti durante il processo iniziato lo scorso 10 febbraio:

Hasnain in aula durante il processo

”Io penso che mi abbiano chiamato perché volevano uccidermi – racconta Hasnain – per il mio buon rapporto con Saman ed ero d’accordo sulla sua relazione con Saqib. Poi non so perché non mi hanno ucciso”. Dalla sua versione dei fatti sembra che Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq avrebbero telefonato ad Hasnain dopo 22.30 del 30 aprile 2021, mentre l’uomo stava riposando, riferendo allo zio che “c’era stato un litigio e c’era scappato il morto”.

Subito dopo Hasnain si sarebbe alzato e, assieme ai due cugini, avrebbe raggiunto padre e madre della vittima nella loro casa dove avrebbe visto la ragazza “morta sdraiata con il collo strano, stretto.

“Ho cominciato a urlare forte, a maledire tutti, a piangere, e ho perso i sensi. Quando mi sono risvegliato i due mi hanno sorretto e mi hanno dato dell’acqua. Ho visto che avevano i guanti in mano e ho sentito che dicevano che era stata la madre”.

Il recupero del cadavere della studentessa pakistana

Una versione dei fatti, questa, che lascia non pochi dubbi e raccontata cosi, qualora non venissero fuori prove consistenti, sembrerebbe davvero un maldestro tentativo di addossare a chi non si trova la responsabilità di un omicidio “collegiale” cosi come “tradizione” vuole.

Ma Hasnain è un fiume in piena e spiattella anche i macabri particolari dell’occultamento del cadavere vicino il casolare abbandonato di piazza Reatino:

”Uno l’ha presa dalle gambe e uno dalle braccia, hanno impiegato circa due ore ma non ho visto chi l’ha messa dentro, ero poco cosciente in quel momento. Una buca troppo grande per una persona sola”. Con quest’ultima frase l’imputato farebbe intendere che in quella buca ci sarebbe stato spazio anche per il suo di cadavere ma non spiega il perché, all’ultimo minuto, proprio lo zio sarebbe stato “graziato”.:

Il racconto del presunto killer si fa ancora più avvincente:

Lo zio con i due cugini mentre tornano in azienda con attrezzi da scavo: la sua versione vacilla

”Ho visto il cadavere di Saman, ho baciato la sua fronte. Volevo recarmi a casa di Shabbar con il corpo in braccio, ma i cugini mi hanno fermato perché c’erano le telecamere e dicevano che mia nipote era stata uccisa da Nazia. Nella casa abbandonata c’era già la pala per scavare la fossa, mi hanno chiesto di accompagnarli per aiutarli a scavare, ma io non riuscivo perché stavo male. Per il dispiacere piangevo, a un certo punto mi sono allontanato perché non riuscivo a guardare mentre la seppellivano. Dopo che ho raccontato queste cose non potrò più tornare in Pakistan perché gli uomini di Shabbar mi farebbero uccidere”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa