Si fa ancora troppo poco per estirpare un cancro che è già penetrato nel tessuto sano della società civile. Corruzione e connivenze debbono essere stroncate. Ed il legislatore deve fare molto di più per assicurare sicurezza ai cittadini. Passerelle e manifestazioni servono a poco, meglio certezza della pena e carcere duro.
“Per combattere le mafie dobbiamo uscire dalla deriva etica che ha investito il Paese. Nella delicatissima fase economico-istituzionale che il nostro Paese sta attraversando bisogna urlare no alla corruzione e all’evasione fiscale, no ai favoritismi e ai privilegi, no alle spartizioni dei comitati di affari, al finanziamento illegale della politica, alla compravendita degli appalti, all’appropriazione dei finanziamenti pubblici, allo svuotamento delle casse delle aziende pubbliche, alle estorsioni alle aziende private, no allo sfruttamento degli immigrati, no a una politica senza rappresentanza, no agli sfregi all’ambiente...
…Dobbiamo fare finalmente ripartire l’Italia; dobbiamo restituirle il ruolo di paese chiave dell’Unione Europea e di cerniera del Mediterraneo allargato che ci spettano per storia, per tradizione, per cultura. Il futuro del Paese, dell’Europa e della comunità internazionale dipendono dalla capacità che avremo di sanare un vuoto profondo di cui la politica soffre verso i cittadini e soprattutto verso i più giovani: un vuoto di comprensione, di rappresentatività e di legittimazione etica“.
Ricordo queste parole di Pietro Grasso, allora presidente del Senato, proferite davanti ad una folta platea nel corso di un evento antimafia nel 2016. A distanza di 7 anni il pensiero di Grasso ritorna attualissimo, come un monito, e collima perfettamente con quello di Sergio Mattarella nella sua diretta di oggi, 21 marzo, primo giorno di primavera, in cui si celebra la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo di tutte le vittime di mafia”.
Una ricorrenza nata nel 1996, ufficialmente istituita con legge nel 2017, che viene ricordata oggi dal presidente della Repubblica con il consueto appuntamento a Casal di Principe, in provincia di Caserta, dove il 19 marzo di 29 anni fa il clan dei Casalesi uccise don Peppe Diana.
“I mafiosi temono di più la scuola dei giudici – diceva Antonino Caponnetto – perchè la criminalità organizzata prospera sull’ignoranza“. Dunque un appello ai giovani, quello del Capo dello Stato, affinché i ragazzi possano proseguire, attraverso la cultura, verso un futuro più florido, dunque pregno di soddisfazioni nella legalità.
La mafia è ancora forte, anzi fortissima. E poco importa se uccide di meno, è ancora pericolosissima perchè, come le metastasi, si è insinuata nel tessuto sociale sano, a ciò incoraggiata da una certa politica e da imprenditori senza scrupoli.
Prima che sia davvero troppo tardi occorre agire concretamente restituendo alle forze dell’Ordine il loro ruolo di “forza pubblica” e al legislatore il dovere di emanare leggi chiare in grado di assicurare la certezza della pena, passando per la conferma assoluta del 41 bis per i criminali e per l’ergastolo ostativo. Remare contro significa vendersi agli assassini di tutte le vittime innocenti che gridano ancora oggi giustizia per tutti.