Dopo mesi passati a decantare moltiplicatori keynesiani da favola ed effetti miracolosi sull’economia, ai piani alti ci si è accorti che il bonus è stato un (costosissimo) spreco di denaro pubblico. Ed ora i finanziamenti vengono interrotti di punto in bianco, lasciando imprenditori edili pieni di debiti con le mani in mano.
Roma – Solo in Italia si può credere che regalare soldi sia un mezzo sostenibile per produrre ricchezza. Il Superbonus, creatura del pensiero economico pentastellato, si è rivelato quello che è: una misura costosissima (molto più del previsto) e facilmente convertibile in truffa. Ora che i salvadanai sono vuoti, il governo ha cominciato freneticamente a negare il sostegno, a volte a cantiere già iniziato.
Il Superbonus: storia di una catastrofe annunciata
Chi avrebbe mai potuto immaginare che instaurare (in Italia) una agevolazione edilizia che non rimborsa solo l’intera spesa, ma addirittura il 10% in più, avrebbe dato adito a spese enormi e dozzine di truffe? Evidentemente non Giuseppe Conte, che presentò (ai tempi) il Superbonus come misura in grado riattivare l’intera economia nazionale. Mario Draghi dovette portarla avanti con amarezza, Giorgia Meloni ha deciso di cominciare a farla fuori, assieme al Reddito. Quali sono state le cause di questo disastro annunciato?
Già in tempi non sospetti, Draghi lamentava la cattiva progettazione della misura. “Il problema non è il Superbonus in sé, bensì i meccanismi di cessione che sono stati disegnati… senza discrimine e senza discernimento“: essenzialmente, chiunque avesse una cazzuola e un elmetto giallo poteva richiedere l’agognato sussidio. Le misure anti-corruzione non riuscirono a fermare la pioggia di truffe. Ma si faceva affidamento sul moltiplicatore keynesiano, che avrebbe trasformato miracolosamente la spesa in posti di lavoro e introiti per lo Stato (vedi questa previdentissima analisi).
Da regalo di Natale a truffa di Stato
Peccato che prima la realtà torni a bussare alla porta, e con cattive notizie: il Superbonus ha costituito, per lo Stato italiano, una perdita. L’effetto moltiplicatore è stimato circa tra lo 0,2 e lo 0,5%. Se un’azienda avesse realizzato profitti del genere sarebbe già alla sbarra, ma si sa, tanto lo Stato può “fare debito”.
Ciò non toglie che il Governo Meloni, piuttosto attento alle spese (anche in virtù della situazione geopolitica non facilissima), abbia già cominciato a ripensarlo. E con ripensarlo, intendiamo troncarlo nettamente, a volte a cantiere già aperto, con la beffa di fare pagare i materiali di costruzione alla ditta richiedente (alias, a lasciarli sul lastrico).
Improvvisamente, i numerosi siti di “informazione finanziaria” che proponevano suggerimenti su come accedere al finanziamento salvifico si affrettano a pubblicare articoli sui “rischi” della misura – vale a dire, rimanere con un pugno di aria in mano, dopo avere investito risparmi e prestiti per una misura che – ne eravamo certi – ci sarebbe stata rimborsata al 110%.
Già cominciano i proclami apocalittici: togliete il bonus e l’economia nazionale andrà in rovina. “Significa condannare alla chiusura decine di migliaia di imprese, fermare almeno 100mila cantieri, mandare sul lastrico migliaia di famiglie e far perdere il lavoro a 150mila persone occupate nel settore edile e nell’indotto“, paventa Bonaccini. Come per l’RdC, una misura che esiste da pochi anni viene presentata come un perno dell’economia nazionale, che in effetti suona meglio di “assistenzialismo becero”.
Una lezione: le “riforme strutturali” servono. Ma lasciamole fare ai professionisti.