Secondo il Global Gender Gap Report, uno studio pubblicato recentemente, il divario tra stipendi femminili e maschili si trascina anche oltre i normali salari.
Roma – Il mondo del lavoro, ormai è noto ai più, registra un grave divario tra gli stipendi maschili e quelli femminili, a parità di lavoro e mansioni. Coi primi che sono maggiori dei secondi. Il dislivello è presente anche quando si va in pensione. Il sesso femminile giunge all’agognata meta, mediamente, percependo il 74% in meno nei confronti dei maschi. Il dato è emerso grazie a uno studio di WTW, una società di consulenza aziendale e riorganizzazione del lavoro. Inoltre, il divario cambia tra i diversi Paesi. Si va dal 60%, la percentuale più bassa, come accade in Nigeria, al 90% il livello più elevato in Corea del Sud.
Risulta, quindi, dai dati, un dislivello notevole a livello mondiale, tra il patrimonio maschile e quello femminile quando si smette di lavorare. L’anno scorso è stato pubblicato il “Global Gender Gap Report”, a cura di WTW e del World Economic Forum. Quest’ultimo è una fondazione senza fini di lucro che ogni anno organizza a Davos, in Svizzera, un incontro sui temi più importanti a livello mondiale, quali salute, ambiente, economia. Dal rapporto è emerso che il gap cresce col livello di anzianità lavorativa. Le donne al top dei ruoli manageriali si trovano col 62% della ricchezza accumulata dai maschi nei rispettivi ruoli. Come dire: più si cresce di livello più aumenta la forbice. Mentre si è più simili tra i ruoli inferiori, quelli operativi e di supporto, in cui il dislivello è dell’89%. Nei ruoli intermedi, il gap è del 69%, un numero ancora notevole.
Questa risulta essere la fotografia della media a livello globale. Nel nostro Paese la situazione è più o meno simile, gli scostamenti dai dati generali sono minimi. Le cause di queste disuguaglianze a livello retributivo, pensionistico, dell’evoluzione della carriera e dell’aspettativa di vita sono tante e di diverso livello. Se si guarda la ricchezza accantonata, sono da valutare le conseguenze delle differenze e la loro interdipendenza. Gli indicatori a cui si fa riferimento sono: lo stipendio, la progressione carrieristica, l’alfabetizzazione finanziaria e gli eventi succedutisi durante il percorso lavorativo. Secondo gli esperti esiste un solo parametro per valutarli: la ricchezza accumulata al momento della pensione. In Italia, i diversi modi di fare carriera, i differenti stipendi, creano, inoltre, delle forti criticità nel mettere in moto un meccanismo di risparmio pensionistico equo tra i generi.
Inoltre, il divario è accentuato dalla forte carenza di servizi assistenziali per i figli a prezzi sostenibili e dal forte dislivello di lavoro riproduttivo (quello assistenziale e domestico che si svolge in famiglia) che è quasi tutto sulle spalle delle donne. La legislazione italiana ha fatto passi da giganti con l’approvazione della legge sul congedo parentale condiviso. Ebbene, nonostante ciò, si registra ancora un grande squilibrio. Nel senso che di rado se ne avvalgono i maschi. Un mutamento di quest’aspetto provocherebbe più equità in termini di ricchezza.
Infine, quantunque, negli ultimi tempi siano cresciuti gli aspetti riferiti all’ESG (Environmental, ambiente; Social (società); Governance, governo) da parte di aziende pubbliche e private, la situazione è stazionaria, miglioramenti se ne vedono poco. L’acronimo ESG si riferisce a specifici criteri, tra cui l’impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali e le azioni riferite all’accuratezza e trasparenza. Oltre a politiche orientate al raggiungimento di questi obiettivi, sono necessarie misure concrete affinché il divario si annulli. Una democrazia, come riteniamo di essere, non può registrare squilibri del genere e di genere. Stridono con la carta costituzionale e con i principi stessi dei valori democratici. A buon intenditor!…