Lavoro e lavoratori in Italia sembrano le facce di una stessa medaglia, quando se ne palesa una sparisce l’altra. E’ arrivata l’ora delle riforme strutturali?
Quando non c’è, si cerca. Quando c’è, manca chi lo esercita. Il lavoro in Italia, negli ultimi tempi, è diventato un vero terno a lotto. Conosciamo tutti la grave situazione economica e la relativa crisi occupazionale dell’ultimo biennio, in cui la pandemia ha contribuito non poco a peggiorare. Molti l’hanno vissuta sulla propria pelle ed è stato come sentirsi conficcare lame roventi nelle proprie frattaglie! Poi si è verificato il paradosso che dove il lavoro c’è non si trovano i lavoratori. C’è da restare basiti. L’allarme era stata lanciato già nel giugno scorso durante la convention dei giovani di Confartigianato, la più grande organizzazione di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi per artigiani e piccole imprese.
Ogni tanto viene fuori come un ritornello. E’ senz’altro vero che tra domanda ed offerta di lavoro, di fatto, c’è un sostanziale squilibrio. La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, ha effettuato una ricerca dall’eloquente titolo: “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono” in cui è emerso che il 46% della domanda non trova offerta, una percentuale pari a 22mila lavoratori. Ora andando a spulciare i dati, viene fuori che si è riscontrata una forte carenza di camerieri, cuochi pizzaioli e addetti agli stabilimenti balneari, molti di questi stagionali. Ma c’è penuria anche di operai edili, autotrasportatori, addetti alle pulizie e tecnici specializzati. Le motivazioni che hanno prodotto questo risultato sono molteplici e complesse. Fra queste, l’elemento demografico.
Dal 2018 ad oggi, infatti, la popolazione in età di lavoro (15-64 anni) è molto diminuita. Come si è ridotta la parte attiva di chi ha un lavoro in Italia e lo cerca, mentre è aumentato il numero di chi non cerca un’occupazione o è demoralizzato nel farlo. Secondo lo studio, quest’aspetto potrebbe avere diverse cause: il rifiuto di lavori poco retribuiti; la percezione di sussidi pubblici; un cambiamento delle priorità della vita. Il Sistema informativo Excelsior fornisce ogni anno i dati previsionali sull’andamento del mercato del lavoro e sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese. L’ultimo report a cura di Unioncamere e Anpal, ha evidenziato la difficoltà delle imprese a reperire figure professionali ad hoc, che ha raggiunto la percentuale del 41,6% del totale.
Le previsioni di assunzioni per il trimestre agosto-ottobre sono di circa 1,3 milioni di lavoratori. Per la cronaca Unioncamere – l’Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura – è l’ente pubblico che unisce e rappresenta istituzionalmente il sistema camerale italiano. Anpal, invece, è l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Inoltre, l’industria nel suo complesso è alla ricerca di 81mila profili professionali, di cui 55mila nel manifatturiero e 26mila nell’edilizia. I settori che più incontrano difficolta nel reperimento di personale sono le industrie metallurgiche, del legno e del mobile e le costruzioni. Il terziario, infine, ha in programma 240mila assunzioni. Non si vuole dubitare della competenza economica e statistica di queste ricerche compiute da istituti di rilievo.
Però, come si dice in alcuni casi, qualche chiosa è giusto esporla. A volte sembra che queste ricerche evidenziano il tutto ed il suo contrario. Qui viene fuori che a livello della domanda da parte delle aziende ci si trova quasi nel Paese del bengodi, in cui il lavoro sembra scendere come manna dal cielo. Può essere senz’altro vero che non si trovano le figure professionali richieste. Ma questo ha a che fare con un grave deficit politico nel saper coniugare innovazione, investimenti e sviluppo, di cui il lavoro è un corollario importante. Per il personale stagionale, invece, la cronaca è, purtroppo, ricca di casi di lavoratori sottoposti a turni massacranti e paghe basse. E poi ci si lamenta che non c’è personale. Che facce di bronzo!