Il comandante dei carabinieri di Monreale venne eliminato il 4 maggio del 1980. Il magistrato incastrò i colpevoli e decise di dedicare la carriera a combattere Cosa nostra.
Palermo – La notte del 4 maggio 1980, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, 31 anni, fu assassinato a Monreale in un agguato mafioso, mentre camminava con la moglie Silvana Musanti e la figlia Barbara, di 4 anni, in braccio. Le indagini, condotte dal suo amico Paolo Borsellino, allora giovane giudice istruttore, portarono alla luce la brutalità di Cosa Nostra e segnarono un punto di svolta nella vita di Borsellino, che da quel momento dedicò la sua carriera alla lotta alla mafia.
Come scrisse nel 1992 il magistrato, l’omicidio di Basile gli fece capire che il suo destino era in Sicilia, contro la criminalità mafiosa. La vicenda, ricostruita nell’ordinanza di Borsellino, a 44 anni di distanza dal brutale omicidio, resta un simbolo della guerra tra Stato e mafia. Nella serata del 4 maggio, Basile percorreva via Pietro Novelli verso la caserma, dove viveva con la famiglia. Due sicari a viso scoperto lo colpirono alle spalle con una rivoltella calibro 38, sparando numerosi colpi al torace e alla testa.

Un proiettile diretto alla moglie fu deviato dalla sua borsetta, salvandole la vita. I killer fuggirono su una Fiat A112 verso Pioppo, ma l’appuntato Giuseppe Di Giovanni e il metronotte Giovanni Caruso risposero al fuoco, colpendo l’auto in fuga. Basile, trasportato prima alla clinica Ingrassia e poi all’ospedale civico di Palermo, morì alle cinque per le gravi ferite.
Paolo Borsellino, amico di Basile e giudice istruttore, prese in mano le indagini con determinazione. L’ordinanza-sentenza del 6 aprile 1981 identificò i mandanti in boss di Cosa Nostra come Totò Riina e Bernardo Provenzano, e gli esecutori in Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia. Le indagini rivelarono che Basile era un bersaglio per le sue inchieste su traffici di droga e omicidi mafiosi a Monreale, cuore del potere corleonese. Il processo, segnato da minacce, depistaggi, inattesi proscioglimenti e nuove condanne, fu un banco di prova per Borsellino, che nel 1981 scrisse: “Da quel giorno capii che il mio lavoro doveva essere un altro.” L’omicidio di Basile lo spinse a specializzarsi nella lotta alla mafia, un impegno che lo portò al Maxiprocesso e, tragicamente, alla sua morte nel 1992.
Monreale, negli anni ’80, era un feudo di Cosa Nostra, con i corleonesi che che consolidavano il controllo su Palermo. Basile, comandante della compagnia carabinieri, si era distinto per indagini incisive, come quelle sull’omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo (1977). La sua morte, ordinata dai vertici mafiosi, fu un messaggio allo Stato. La risposta di Borsellino, con arresti e condanne, dimostrò che la mafia non era intoccabile,