Dopo le recenti chiusure della Jabil e l’incertezza sul futuro dell’Ilva, un’ennesima serrata sul territorio nazionale produrrebbe un colpo letale all'apparato industriale del Bel Paese e al piano occupazionale.
La produzione dell’acciaio ha sempre rappresentato il vanto industriale della città di Terni. Di generazione in generazione, i padri hanno trasmesso ai figli passione e conoscenze tecniche, contribuendo in maniera determinante al Pil nazionale. Oggi, però, per la realtà umbra sembra profilarsi all’orizzonte un nuovo dramma. Il futuro dell’Ast (Acciai Speciali Terni) appare sempre più un’incognita mentre non è più differibile un piano nazionale per la siderurgia. La compagnia proprietaria del sito, la ThyssenKrupp, con una scelta inedita per la sua storia, ha fatto intendere che l’Ast non può più essere considerata strategia per la produzione dell’acciaio e ha messo il complesso in vendita. Inutile dire che le conseguenze, qualora non venissero trovate subito adeguate soluzioni, potrebbero essere catastrofiche. Sia sotto il profilo occupazionale che economico.
“…La motivazione di ThyssenKrupp – ha dichiarato Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia – secondo cui Ast rappresenta un sito di cui non si vedono prospettive future sostenibili non può che destare preoccupazione ed incertezza tra i lavoratori di Terni. Ad un andamento finanziario nell’anno fiscale che fa registrare una perdita di circa 2 miliardi di euro, dopo due anni di utili, si sovrappongono le ricadute dell’emergenza legata alla pandemia da Covid-19: la linea di colata continua è ferma da 15 giorni, l’organizzazione della produzione nel tubificio passa da 15 a 10 turni e l’amministratore delegato afferma che non ci saranno le condizioni per confermare i contratti di lavoro degli interinali attualmente impiegati nel sito di Terni. È evidente tutta la criticità della fase in cui Ast viene collocata sul mercato alla ricerca di un compratore o di una possibile joint venture. Ora si è in attesa delle manifestazioni formali di interesse. Non ci sono per noi pregiudiziali, la differenza la farà il piano industriale, la solidità produttiva e commerciale, gli impegni ed i vincoli sul versante occupazionale e della sostenibilità ambientale e la capacità di stare su un mercato sempre più globale. In questo senso per noi non è praticabile una qualsiasi ipotesi che invece di puntare sull’integrità del sito e su una valorizzazione strategica delle sue produzioni, ricerchi una modalità di cessione separata degli asset, configurando una sorta di ‘spezzatino’. Occorre garantire che il Governo tenga saldamente in mano un percorso nel quale la vicenda della cessione di Ast pur rispondendo alle regole e ai tempi di una trattativa tra privati con le regole e i tempi assegnati, consenta di valutarne tutte le ricadute industriali ed occupazionali…”.
L’Ast ha alle spalle 136 anni di storia e attualmente conta più di 2.300 dipendenti, con un fatturato passato dall’utile di 98 milioni di euro dell’anno fiscale 2017-2018 alla perdita di 1,8 milioni del 2018-2019. Situazione complicata, che già nel 2014 aveva portato a un maxi piano di esuberi e al blocco della produzione per quasi 40 giorni. Al momento il dubbio principale da sciogliere riguarda le reali intenzioni della ThyssenKrupp. Non è ben chiaro se l’intenzione del colosso tedesco sia quello di vendere completamente il sito o di cercare una partecipazione esterna che possa permettere di alleggerire le spese.
Al momento soltanto un timido interesse si sarebbe manifestato da parte di alcune realtà siderurgiche italiane. Nello specifico è intervenuto Antonio Marcegaglia, presidente e CEO della FinMar s.r.l.: “…Non abbiamo mai fatto mistero del nostro interesse per quella realtà – ha detto il bocconiano Marcegaglia – e lo abbiamo di recente ribadito a Thyssenkrupp. Saremmo in grado di costruire una sinergia ottimale con il sito ternano…”.
Le prossime ore potranno chiarire meglio la futura trattativa, anche se il peggior nemico in questi frangenti è proprio il tempo. Da parte loro i sindacati hanno richiesto a gran voce un maggior interessamento da parte del ministro Stefano Patuanelli:
“…Dal 1° ottobre la multinazionale tedesca – hanno dichiarato i rappresentanti di Uilm – collocherà Ast in una business unit “Multi-tracks” che rappresenterà un limbo pericoloso in assenza di un nuovo piano industriale che assicuri nuovi e sufficienti investimenti per la salvaguardia degli impianti…”.
Il tempo non è galantuomo, in questo oscuro frangente. Bisogna far presto prima che la chiusura si trasformi in ginepraio senza uscita. Anche perché, dopo la recente serrate della Jabil, e l’incertezza sul futuro dell’Ilva, un’ennesima saracinesca abbassata sul territorio nazionale produrrebbe un colpo letale all’apparato industriale del Bel Paese e al piano occupazionale.