Una bella notizia che giunge dall’ultimo rapporto dell’Onu. Il risultato è incoraggiante ma deve far riflettere sull’immobilismo politico che oggi pervade altre urgenze.
Roma – Nel mare magnum dell’informazione a raffica, un’importante notizia per le sorti dell’umanità è balzata agli onori della cronaca. Pare che il buco dell’ozono sarà chiuso entro il 2040. È stato considerato, fino a pochi anni fa, come una delle principali criticità ambientali. Per i comuni mortali, consiste nella riduzione dello spessore dello strato di ozono nell’atmosfera terrestre, la fascia che ci protegge dai raggi ultravioletti. L’assottigliamento dello stato di ozono è causato dal rilascio nell’atmosfera del gas clorofluorocarburi.
È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’ONU sullo strato di ozono, il 10° da quando è stato introdotto, nel 1987, il protocollo di Montréal, il trattato internazionale per la riduzione dell’ozono. Un ruolo decisivo, secondo il report, l’hanno avuto i governi mondiali, che hanno attuato politiche atte a raggiungere lo scopo. Se ne prende atto, ma risulta alquanto strano che, come risulta da una molteplicità di ricerche, anche intergovernative, sull’ambiente, proprio l’immobilismo politico sia la causa principale della catastrofe ambientale. Sarà che l’ozono trasmette un particolare fascino seduttivo, che noi ignoriamo!
Dal report emerge anche che l’iniziativa per l’ozono è stata uno strumento contro la crisi climatica. I famosi CFC (composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio), i gas serra il cui prolungato e incontrollato uso avrebbe prodotto un aumento delle temperature globali di un grado centigrado entro la metà del secolo, aggravando il contesto, di per sé, già problematico relativo al riscaldamento globale. Indubbiamente è una buona notizia. Come succede spesso in questi casi, si sono succeduti una serie di peana trionfalistici e panegirici encomiastici, tra il suono di trombe e fanfare.
Poiché la risposta alla gestione del CFC si è concretizzata a livello mondiale, vuol dire che il trattato di Montréal, come ha affermato David Fahey, uno degli autori del report, nonché studioso della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA, agenzia scientifica e normativa statunitense per le previsioni meteorologiche e il monitoraggio delle condizioni oceaniche e atmosferiche): “il Protocollo di Montréal è il trattato ambientale di maggior successo nella storia e offre incoraggiamento affinché i Paesi del mondo possano riunirsi e decidere un risultato e agire di conseguenza”.
A questa dichiarazione si è aggiunta quella di Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione metereologica mondiale (OMM, Organizzazione intergovernativa di carattere tecnico, che si occupa di meteorologia, di cui fanno parte 191 Stati membri), che ogni quadriennio presenta una relazione sui progressi. Taalas ha rilasciato queste parole, che passeranno alla storia per la loro profondità e perentorietà (!):
“Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che consumano ozono ci mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura”.
Ora qualsiasi iniziativa delle istituzioni politiche a livello planetario tesa a vincere la battaglia del riscaldamento climatico andrà incoraggiata e plaudita. Ma se fossimo un docente, sottolineeremmo con la matita blu –come si faceva qualche anno fa nelle scuole- la frase: “cosa si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili…”. Non perché non sia giusta o meritoria, ma per il fatto che è continuamente disattesa. Non mi pare che i combustibili fossili siano stati abbandonati. Anzi, sembra che si spinga verso un loro rafforzamento.