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Via libera al premierato in Senato tra le proteste, cosa cambia con la riforma

Elezione diretta del premier e limite dei due mandati, fine dei senatori a vita e del semestre bianco tra le novità. Opposizioni in piazza.

Roma – Primo sì del Senato al ddl di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. I voti a favore sono stati 109, i contrari 77, un astenuto. Il testo passa ora alla Camera per la seconda delle quattro letture previste. Un’approvazione costellata da non poche polemiche. Pd, M5s, Avs e +Europa si sono dati appuntamento alle 17:30 – in contemporanea all’ok finale in Senato- per difendere “la Costituzione e l’unità nazionale”, e non è escluso che possano spuntare delegazioni di Azione e degli ex alleati renziani. Il premierato è parte di una proposta di legge che intende modificare la Costituzione soprattutto per rafforzare i poteri del presidente del Consiglio e introdurre la sua “elezione diretta”. Una disposizione che sostituisce l’attuale meccanismo elettorale, consentendo ai cittadini di esprimere direttamente la propria preferenza per il capo del governo.

La Costituzione italiana, infatti, prevede che alle elezioni politiche i cittadini eleggano i membri del Parlamento, che poi a loro volta esprimono la loro preferenza per un governo e un presidente del Consiglio. Se venisse approvata definitivamente la riforma, il capo del governo non riceverebbe più l’incarico dal presidente della Repubblica sulla base del risultato elettorale e delle possibili maggioranze in Parlamento, ma sarebbero direttamente i cittadini a scegliere il premier che avrebbe una durata di mandato di cinque anni. Un altro aspetto cruciale della proposta è il limite di due mandati per il premier, al fine di evitare la perpetuazione di un unico governo e favorire il ricambio politico. Contestualmente all’elezione del premier avviene anche l’elezione dei componenti del Parlamento.

Il ddl Casellati prevede che una legge ordinaria disciplini il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, “assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività”. La novità prevista è che il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri. Rispetto attuale costituzione, la novità è appunto il potere di revoca dei ministri.

Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Se non viene approvata la mozione di fiducia, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il governo. Quindi il premier eletto può fare un nuovo tentativo con un altra squadra di ministri, o anche cercando un’altra maggioranza. “Qualora anche in quest’ultimo caso il governo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”, è il passaggio successivo del testo. Se il governo, nel corso della legislatura, viene sfiduciato “mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere”.

Elisabetta Casellati

In caso di dimissioni del presidente del Consiglio eletto, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone. “Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio”. In entrambi i casi il nuovo governo può avere una maggioranza diversa da quella uscita delle urne. Una delle novità più dibattute è di fatto l’annullamento del semestre bianco che consente al presidente della Repubblica di sciogliere le camere in qualunque momento, anche nei sei mesi precedenti all’elezione del capo dello Stato. Una circostanza oggi non prevista dalla Costituzione.

Il ddl Casellati abroga il potere del Quirinale di nominare cinque senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico. Non viene invece toccato l’articolo che stabilisce che i presidenti della Repubblica al termine del settennato diventano senatori a vita. Viene abolita inoltre la controfirma del governo in una serie di atti del presidente della Repubblica: nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere. Per eleggere il capo dello Stato occorre il quorum dei due terzi dei grandi elettori non più nei primi tre scrutini, come accade oggi, bensì nei primi sei.

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